Cambiare le nostre città oscene
di Jacopo Rothenaisler
Città oscene
A inizio di questo maggio Mikael Colville-Andersen si trovava a Milano per girare una puntata di “The life sized city”. L’urbanista danese scrisse un tweet durissimo in cui definiva lo spazio urbano meneghino come “osceno” – “invaso” da automobili parcheggiate “con arroganza” in sosta vietata sentenziando la totale arretratezza del capoluogo lombardo rispetto al resto dell’Europa. In effetti le nostre città, conveniamo con Andersen, sono divenute oscene. Abbiamo fatto poco o nulla per contrastare i due fattori, comparsi in epoca moderna, che hanno liquefatto lo spazio comune di qualità nelle città: l’espansione urbana connessa all’industrializzazione e il traffico. Soprattutto l’auto ha avuto un ruolo decisivo nel peggiorare la qualità della vita urbana, avendo trasformato l’ambiente umano per eccellenza in un posto pericoloso per gli esseri umani, con un effetto disastroso di distruzione del tessuto sociale. (Stefano Bartolini.2011)
Spazi delle città degli anni ’50 e delle città di oggi.
Diventare anziani è tutt’altro che un privilegio, soprattutto quando si vive in una città d’oggi. La mia città la ricordo com’era, ed è un po’ un conforto per le buone cose vissute, un po’ disperazione per quello che è diventata. La mia infanzia – parliamo degli anni ’50 – e quella dei miei coetanei, è stata uno spasso. Eravamo tutti più o meno poveri ma liberi, tutti magri ma non rachitici. Tutti disponevamo di spazi sicuri vicino a casa e potevamo arrivarci da soli. Passavamo la maggior parte del tempo fuori di casa, muovendoci in totale autonomia e organizzando da soli i nostri giochi. Era normale, oggi sappiamo che era un grande privilegio. Perché poi sono arrivate le automobili. Il loro ingombro e la velocità hanno reso invivibile il contesto urbano prima così accogliente. La conseguenza è stata disastrosa. Nelle città di oggi i ragazzi passano all’aperto un ottavo del tempo dei loro nonni (ISTAT 2014). La strada è stata bandita dalla loro libertà. Devono starsene rinchiusi in conseguenza dello spazio e della sicurezza sottratti loro dalle macchine. Quasi non conoscono il gioco libero poiché per giocare devono per forza iscriversi a squadre o associazioni, con le famiglie chiamate a sostenere costi economici sempre più elevati. Al campo di gioco o in palestra arrivano in macchina, e in macchina tornano a casa sempre portati da genitori o nonni. I ragazzi italiani sono gli europei con il più alto numero di bambini obesi, pari a 1 ogni 3 bambini tra i 6 e i 9 anni, ed hanno imboccato una strada che li porterà a sviluppare patologie fino ad oggi caratteristiche solo della età anziana. (Omar Gatti, 2019)
Animali domestici surrogano la socialità perduta.
Per gli adulti le cose non vanno meglio. Moltissimi hanno sostituito alla incomprimibile necessità del rapporto con le altre persone, il rapporto con gli animali domestici. Negli ultimi 30 anni c’è stata l’esplosione del numero di cani, gatti e di tutti gli animali che realmente ci confortano con la loro compagnia. La socialità domestica si è salvata così. Ma fuori di casa si vive chiusi nelle automobili, fermi in fila, o alla ricerca di un parcheggio, sempre più nervosi e aggressivi, antisociali, incapaci di relazionarsi con gli altri, e molto di questo lo dobbiamo all’aver destinato alle macchine gli spazi urbani costruiti invece per le persone.
Democrazia e appartenenza.
Lo spazio pubblico è la nostra palestra di democrazia, l’occasione per creare e mantenere nel tempo un forte sentimento di appartenenza, mentre le strade sono la spina dorsale delle città. L’urbanista Ben Hamilton-Baillie diceva che “il problema di molte città è quello che nel tentativo di accogliere più auto, hanno permesso che le strade diventassero dei canali di traffico dominati esclusivamente dai veicoli. Queste strade hanno perso il loro scopo principale che era quello di attrarre persone e investimenti.” Dobbiamo cambiare il modo di fruire della nostra città. Cambiare l’uso e riqualificare lo spazio urbano. Ridurre il traffico. Moderare la velocità. La strada, il cardine della socialità cittadina, è di tutti.
La città possibile.
Tra gli esempi di città che hanno abbracciato progetti di riforma dell’organizzazione con scopi di promozione della relazione e del benessere (Montgomery 2010) la prima è stata Bogotà. Per il sindaco Peñalosa la socialità è un bisogno fondamentale che può alleviare molti disagi della povertà e persino ridurre la criminalità e per questo ha creato un progetto di città relazionale. Peñalosa sostiene che esiste un conflitto tra il mettere a proprio agio le macchine e le persone in una città. Di conseguenza Peñalosa ha dichiarato guerra alle macchine. (Stefano Bartolini, 2011)
L’esempio di Living street e shared space
In moltissimi paesi europei da decenni si è messo mano a progetti di cambiamento. Le living street e lo shared space sono soluzioni progettuali in cui pedoni e ciclisti si sentono più sicuri. Si tratta inoltre di spazi sociali in cui le persone possono incontrarsi e dove i bambini possono giocare liberamente e in sicurezza. Queste strade restano accessibili ai veicoli a motore, tuttavia le velocità ridotte comportano benefici oltre che per gli utenti deboli anche per gli automobilisti stessi (Dondè & Meggiato, 2012). Il termine “living street” nasce alla fine degli anni sessanta da Donald Appleyard il quale condusse uno studio divenuto celebre “sulle vie vivibili”, confrontando tra loro tre vie residenziali di San Francisco simili per tessuto urbano ma diverse per livelli di traffico. Ribattezzò la via attraversata da 2mila veicoli al giorno come Light Street, Medium Street quella percorsa da 8mila automobili, mentre Heavy Street fu il nome per la strada più pesantemente invasa dal traffico (più di 16mila veicoli). Appleyard riuscì a dimostrare che i residenti di Light Street avevano tre volte più amici e due volte più conoscenti degli abitanti di Heavy Street (Bonfatti, 2012). Lo shared space, che tradotto significa “spazio condiviso” prevede delle azioni di modifica della strada attraverso l’eliminazione di segnaletica stradale per optare a soluzioni di promiscuità degli spazi dei diversi utenti. Tra gli obiettivi si evidenzia quello della messa in sicurezza della strada attraverso il rallentamento del traffico veicolare e il progressivo scoraggiamento all’uso dell’automobile (Ruiz-Apila´nez, 2017).Una prima definizione di spazio condiviso arriva dal Dipartimento per i trasporti del Regno Unito che lo definisce come “un approccio progettuale che cerca di cambiare il modo in cui le strade vengono pensate per ridurre il dominio dei veicoli a motore, principalmente attraverso velocità inferiori e incoraggiando i conducenti ad assumere un comportamento più rispettoso verso i pedoni e ciclisti” (Dipartimento dei Trasporti UK, Ottobre 2011).
Nei Paesi Bassi, dove è nato il concetto di spazio condiviso, la definizione è più ampia. Secondo gli ingegneri del traffico dell’Istituto olandese per la ricerca sulla sicurezza stradale, quando si parla di shared space si fa riferimento alla “creazione e progettazione di aree residenziali, dove il traffico è un ospite e il disegno della strada dovrebbe indicare chiaramente che la funzione primaria dell’area è quella residenziale”.
Non è un’utopia. Cambiare dipende da noi.
Queste visioni, tradotte in esperienze concrete, dimostrano che è possibile anche nelle società di oggi e quindi anche da noi. È sbagliato pensare che tutto ciò sia utopia o che non si sono le condizioni per farlo. Non abbiamo perso la guerra della vivibilità urbana, ma momentaneamente la battaglia sullo spazio urbano, che dobbiamo riprenderci. Agli amministratori e ai cittadini diciamo che non è difficile pensare a come dovrebbe essere organizzata una città “vivibile”. È sufficiente chiedersi quali cambiamenti dovremmo introdurre affinché un proprio figlio o nipote possa raggiungere da solo la propria scuola o gli amici con cui giocare in uno spazio pubblico come facevamo un tempo non lontano.
Non è un destino ineludibile, dipende da noi. Se, per un supposto criterio di modernità abbiamo scelto di mettere a proprio agio le macchine anziché le persone, viste le conseguenze disastrose dal punto di vista sociale, ambientale, economico e sanitario, possiamo rivedere questa impostazione. Se vogliamo rimettere al centro del progetto urbano la relazionalità, il camminare, lo stare insieme agli altri nella familiarità e bellezza del proprio luogo. Se vogliamo consentire agli anziani, ai nostri figli e nipoti di vivere all’aperto in sicurezza, consapevoli del fatto che il grado di pericolosità del traffico urbano è distribuito in modo molto diseguale tra le generazioni, e colpisce soprattutto gli anziani e i bambini, dobbiamo fare una cosa soltanto: ridurre il numero e la velocità delle automobili nello spazio urbano.
“Se pianifichi la città per auto e traffico, otterrai auto e traffico. Se pianifichi la città per persone e per luoghi di qualità, otterrai persone e luoghi di qualità.” Fred Kent
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
– Stefano Bartolini (2011) Manifesto per la felicità; 7 La vita urbana pag.35
– ISTAT 2014 Report I TEMPI DELLA VITA QUOTIDIANA https://www.istat.it/it/files/2016/11/Report_Tempidivita_2014.pdf
– Omar Gatti “I bambini italiani sono i più obesi d’Europa: colpa solo dell’alimentazione?” testo disponibile al link https://www.bikeitalia.it/2019/10/09/i-bambini-italiani-sono-i-piu-obesi-deuropa-colpa-solo-dellalimentazione/
– Dondè M., Meggiato A. (Ottobre 2012), “Lo spazio pubblico moderato: principali caratteristiche e finalità” – Corso di formazione per Mobility Manager scolastici Testo disponibile al link: https://www.comune.re.it/retecivica/urp/retecivi.nsf/PESIdDoc/CCBCA8C98A- 1D1F64C1257C0C0055DE84/$file/Moderazione%20spazio%20pubblico%20-%20architetto%20Donde’.pdf Data di consultazione: 29.06.2018
– Bonfatti E. (2012), “In memoria di Donald Appleyard”, Testo disponibile al link: https://nuovamobilita.com/2012/01/11/in-memoria-di-donald-appleyard/ Data di consultazione:29.06.2018
– Stefano Bartolini (2011) Manifesto per la felicità; 3 La città possibile pag. 268
– Ruiz-Apila´neza B., Karimib K., Garcı´a-Camachac I., Martı´nc R. (2017), “Shared space streets: design, user perception and performance” in URBAN DESIGN International 22, pp. 267–284
– e book Urbanismo tattico – Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria Civile Corso di Studi in Urbanistica: Città, Ambiente e Paesaggio A.A. 2017/2018
TESI DI LAUREA TRIENNALE Studente: Gabriele Sangalli Matr. n° 844040 Relatore: Prof. Paolo Bozzuto
Foto di Jacopo Rothenaisler
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Ho letto con molto interesse e condivido. A Torino ho visto molte persone con il monopattino. A Buttigliera si vedono migliorie con i negozi di prossimità e non conviene più spostarsi nei centri commerciali di Chieri o Castelnuovo.
Ciao Adriana,
a Torino la situazione è in continua evoluzione grazie alle attuali politiche dell’attuale amministrazione e di parecchi gruppi organizzati che promuovono la mobilità dolce.
Se vuoi saperne di più puoi contattare anche direttamente il gruppo di sequs di Torino, lo trovi qui: https://sostenibilitaequitasolidarieta.it/circoli-territoriali/
Ciao!