Considerazioni etico-politiche-ecologiche sulla crisi moderna: l’uomo dovrebbe trasformarsi da padrone a custode del mondo, perseguendo la contemplazione della Natura e la Cura della Casa Comune.



di Fabrizio Cortesi, membro del direttivo di SEqUS

Per trovare e tentare una soluzione alla drammatica catastrofe globale ecologica e climatica innescata dall’uomo nella Casa che abbiamo in Comune con tutti gli esseri viventi, la Terra, il primo passo da fare sarebbe una dura e obiettiva presa di coscienza della realtà, che tuttavia spesso manca.
La realtà è che la Casa Comune sta andando a fuoco principalmente a causa dei dissennati modelli di sviluppo perseguiti da una parte dell’umanità a partire dalla Rivoluzione Industriale in poi, finalizzati soltanto al profitto, all’accumulo, alla crescita di produzione e dei consumi di merci e di servizi e dove tutto il mondo politico si è assoggettato all’economia, mentre al contempo economia e finanza guidavano le agende politiche delle nazioni, prevalendo su tutti gli altri obiettivi, amplificando i danni di tali politiche grazie al braccio armato della tecnologia, ormai messa esageratamente a disposizione delle masse, ad amplificare in modo esponenziale il danno ecologico al pianeta causato dalle nostre attività.
Facciamo un esempio legato alla crisi climatica: le temperature dell’aria sono sempre più elevate. Nelle città italiane, prima temperate, si raggiungono stabilmente d’estate punte di 48 gradi. Logica vorrebbe che la società riducesse il proprio impatto climatico, riducesse le proprie attività e le emissioni climalteranti. Invece accade l’opposto: soprattutto nelle città già roventi, milioni di cittadini utilizzano l’aria condizionata, che significa sovraccaricare la rete elettrica, arroventare ulteriormente l’aria esterna, richiedere alle centrali elettriche di bruciare ancora più gas e petrolio, quindi peggiorando di molto il problema iniziale con l’utilizzo errato della tecnologia messa loro a disposizione dal sistema delle multinazionali e del marketing globale. Incuranti degli effetti esterni che il loro gesto procura sugli altri e sull’ambiente, ognuno cerca di stare bene dentro casa propria, indifferente a tutto il resto.
Ci ritroviamo oggi in un mondo altamente antropizzato, sovrappopolato, altamente degradato da inquinamento, accumulo di rifiuti e sostanze di scarto non degradabili della nostra “civiltà” e un cambiamento climatico fuori controllo, una grave scarsità di acqua potabile, un impatto devastante sulla biodiversità ridotta ormai al lumicino; tutto questo si ripercuote e implica poi il deterioramento della qualità della stessa vita umana, amplificando il degrado sociale, le iniquità, che finiscono per sfociare poi in un mare d’indifferenza e di senso di impotenza.
L’opera di conversione ecologica dell’umanità sarebbe molto più semplice, spontanea e naturale se tutta o la maggior parte della popolazione imparasse a guardare il mondo, la Natura, di cui siamo solo ospiti di passaggio, con occhi diversi, permeati di stupore per la sua bellezza e perfezione anche senza di noi, con spirito di contemplazione. Ci verrebbe più facile e naturale, così, prenderci cura della Casa Comune ed esserne davvero i guardiani e i custodi. Da qui l’importanza della divulgazione, dell’educazione nei giovani, del ruolo delle famiglie e delle scuole nell’insegnare e nell’educare sui buoni princìpi.
Non c’è alternativa, se non il deterioramento della vita e la sua estinzione, a questa presa di coscienza e cambio di paradigma, di visione, di concezione del nostro ruolo nella Casa Comune.
Non possiamo continuare a prelevare molte più risorse di quante il pianeta possa darci e rigeneri. Se non vivessimo al di sopra delle nostre possibilità e con avidità ma adottassimo uno stile di vita vocato alla parsimonia e alla sobrietà, la Terra avrebbe risorse per tutti. Dovremmo però immediatamente abbandonare la smania suicida e bulimica di crescere indefinitamente, peraltro asservita alla concezione capitalista e neoliberista dell’economia, e dovremmo fermare immediatamente l’aumento della popolazione, cosa di cui invece nessun governo e Nazione ipocritamente vuole mai parlare.
Il fulcro della questione è che l’uomo non deve salvare solo se stesso, per puro spirito egoistico e opportunistico ma sopravviverà soltanto se si porrà l’obiettivo di salvaguardare anche tutte le altre specie viventi, proprio avendo compreso di essere parte del tutto e interagente con il tutto.
La sostenibilità da perseguire, insomma, non deve essere orientata a preservare il nostro esistere e le risorse soltanto per le nostre generazioni future, ma soprattutto lasciare spazio e dare futuro a tutte le forme viventi, indistintamente, del regno animale e vegetale.
Il nostro comune sentire, la nostra etica, la nostra politica, fin l’economia, dovrebbero perciò essere guidati in primis dal senso di stupore e di bellezza che proviamo per la Natura, da preservare e rispettare a qualunque costo. Ci dovrebbero perciò guidare nella nostra esistenza e comune agire, il senso di spiritualità, di estetica della natura, la passione, la compassione, l’empatia per tutto il “Creato”, la parsimonia nell’uso delle risorse.
La tecnologia dovrebbe essere intesa non come mezzo per dominare meglio la Natura e per aumentare a dismisura i mercati e la produzione di merci e servizi, bensì guidata da un senso etico come artifizio per addolcire e ridurre la nostra impronta sul pianeta, per riequilibrare la nostra ingombrante specie con l’esistenza di tutte le altre.
In fondo sarebbe questo il concetto di ecologia integrale: Consci delle inter-relazioni di ogni parte della biosfera con tutte le altre, occorre cambiare visione, paradigmi, stili di vita, finalità dell’economia e della politica, che ci portino ad avere un approccio risolutivo radicale (ossia che vada alla radice e alle cause delle questioni) dei problemi da noi stessi generati fin qui, e non utilizzare la tecnologia settorialmente con il risultato di aggravare quasi sempre la situazione.
(*) Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale. Pur con le migliori intenzioni, il rischio è alimentare una «ecologia superficiale» che finisce per lasciarsi catturare «all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia». Invece, «Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale». sia l’uomo sia le cose fatte dall’uomo. Il sistema tecno-finanziario attuale chiaramente non funziona e dimostra ogni giorno la sua incompatibilità con una società armonica e giusta. Non solo, ma la centralità della politica, intesa come la capacità di disegnare il mondo che vogliamo e di compiere le scelte necessarie per realizzarlo, è un punto chiave proprio a fronte di un momento storico in cui l’inseguimento quasi spasmodico del profitto impedisce che i governanti prendano decisioni lungimiranti, di ampio respiro, capaci di immaginare un futuro oltre le scadenze elettorali. (* pochi passaggi tratti dal “Laudato Sì”)
Parte della conversione ecologica deve necessariamente essere anche la definizione di benessere interiore e sociale: dovremmo allontanarci dalle relazioni utilitaristiche tra l’uomo e le cose, ma anche tra gli uomini stessi. Finché una cosa – o un essere vivente, e una persona, purtroppo -serve a uno scopo preciso e mi dà ciò che voglio, la uso o intrattengo con essa una relazione. Nel momento in cui questo bisogno non è più soddisfatto, la cosa, l’essere o la persona vengono scartate, gettate via, si tronca il rapporto. È la cultura dello scarto, il consumismo che tenta di riempire i nostri vuoti. È quello che facciamo con la natura, ma anche con i nostri simili che muoiono di fame e malnutrizione, soffrono la povertà, con i quali non abbiamo rapporti diretti e non ci possono dare nulla di cui sentiamo bisogno: la loro fame e la loro condizione diventano ai nostri occhi qualcosa di fatalisticamente inevitabile, qualcosa che appartiene al mondo e non si può cambiare, quasi fosse una questione di fortuna o di sfortuna.
L’ecologia integrale, un paradigma concettuale e percorso spirituale (non necessariamente legato alla fede), ci richiama e ci inchioda alle nostre responsabilità, ci impone di ripartire da zero, con atteggiamento caritatevole e sobrio, per quanto concerne l’uso delle risorse, della terra, dell’acqua, dell’agricoltura e del cibo, allontanandoci da tutte quelle pratiche predatorie tipiche dell’economia capitalistica e industriale che hanno spinto a livelli intollerabili le iniquità (causa tra l’altro delle emigrazioni), le ingiustizie. Una rivoluzione copernicana che deve necessariamente partire dalla cultura e dall’educazione.
L’«ecologia integrale», intesa come pratica ambientale, economica, sociale, culturale, della vita quotidiana, che protegge e ha cura del bene comune e degli esseri più fragili e indifesi, che sa guardare al futuro, dicevamo, deve guidare e convertire anche la politica, il vero tasto dolente del mondo moderno di oggi, proprio perché fortemente corrotto e asservito all’economia capitalistica e al modo di produzione industriale.
La nuova politica dovrà invece agire nell’interesse comune di tutte le forme di vita, cancellando le iniquità, prefiggendosi di risolverle, criminalizzando l’economia e la società al nostro riequilibrio con la natura: ci accorgeremo che così facendo, si risolvono anche i problemi ambientali e quelli umani, fame inclusa.
La stessa piaga della fame nel mondo ad esempio deriva essenzialmente dall’ingordigia e avidità di pochi paesi ricchi verso i paesi e le popolazioni indifese e povere, che portano ad una scellerata e iniqua distribuzione delle risorse, dal vile depredamento e dominio effettuato da alcune società e nazioni neocolonialiste a discapito di altre più deboli, dalle guerre messe in atto per mantenere il controllo su questi paesi, il tutto per alimentare il mostruoso sistema consumistico occidentale.
Il principio “Agire localmente, pensare globalmente”, deve necessariamente essere applicato da tutti, nel nostro agire quotidiano. Non deve essere inteso come impegno immane, bensì come piacere del dare, ognuno nel proprio piccolo, un contributo fondamentale per incidere profondamente nel cambio di direzione della nostra società, ad oggi paragonabile senza esagerazioni, ad una locomotiva diretta a tutta velocità, in accelerazione e senza freni, giù per un precipizio.
Ecco allora la necessità di rieducarci tutti ai valori di parsimonia, di decrescita, di amore e di compassione per tutti gli animali e le forme di vita, di sobrietà nei comportamenti e nei consumi, alle forme di auto produzione e auto consumo, alla valorizzazione e preservazione della cultura e delle buone pratiche sostenibili che ci provengono dal mondo antico, rurale, indigeno, aborigeno. Gli aborigeni, comunità in via di estinzione a causa del progresso, ci insegnano invece davvero i valori ancestrali legati alla resilienza, all’autosufficienza, alla sussistenza, al rispetto, alla venerazione e all’armonia con la Natura e le risorse naturali, valori a cui tutti noi dovremmo aspirare di far nostri.
Una società e una politica rieducate ai valori di ecologia integrale sono quelle che si discostano dalla frenetica società dei consumi, in continua corsa per soddisfare bisogni effimeri, rifocalizzandosi e perseguendo le nostre responsabilità, la lucidità nello scegliere ogni acquisto di beni e di cibo, aspetti poi collegati e influenti su tutta la catena produttiva ed economica a monte di quegli acquisti, le cui politiche proprio il consumatore finale avrebbe il grande potere di reindirizzare e influenzare, punendo quelle meno sostenibili proprio con scelte etiche e mature di consumo, come le forme di produzione industriale finalizzate al profitto, le pratiche di sfruttamento che vediamo oggi nell’agricoltura e nell’allevamento intensivo e industriale e tante altre, favorendo invece i modelli produttivi sostenibili ed etici. La politica dovrebbe inoltre imporre che i prezzi di vendita dei prodotti incorporassero anche i loro costi ecologici ed etici, la loro impronta energetica, carbonica, idrica. Scopriremmo ad esempio che il prezzo della carne sarebbe insostenibile. Sempre la politica potrebbe poi porre dei tetti ai consumi pro-capite di certi prodotti e servizi impattanti (es. la carne, il carburante, i voli aerei, la plastica….), poiché le classi sociali più agiate, quelle che dovrebbero decrescere maggiormente nei loro consumi e impatti, non sono scoraggiate al consumo soltanto in base all’aumento dei prezzi.
Questo cambiamento culturale dovrebbe essere guidato e accompagnato proprio dalla classe politica, oggi invece più che mai intenta a favorire gli interessi di pochi a discapito di tutti gli altri, guerre ed espansioni geopolitiche incluse.
Tutto il popolo dovrebbe impegnarsi intensamente, anche attraverso il voto, a cambiare e reindirizzare il sistema tecno-economico-politico dominante, finalizzato alla crescita di produzione di merci e servizi, guidandolo verso un nuovo paradigma e approccio con il mondo, una nuova politica davvero orientata al bene comune, alla cura della casa comune.
Troppi politici non si rendono conto che le loro azioni e decisioni locali contribuiscono enormemente alla catastrofe planetaria che ci ha travolti. Esempi sono le troppo facili approvazioni di piani regolatori devastanti, di progetti per mega centri commerciali, o autostrade inutili e dannose, di industrializzazioni del territorio, i benestare dati alle aperture di una miriade di punti vendita di fast food delle grandi catene internazionali, veri e propri mandanti di sfruttamento del mondo animale, predatori di diritti, di risorse planetarie. Occorre davvero una nuova politica e scelte diverse da parte di chi a quella classe politica dà il mandato così vitale di legiferare e di agire in nome della collettività e della sostenibilità.
Certo, questi cambiamenti scontenteranno tante categorie della società, in primis molti industriali, finanzieri, azionisti, investitori, detentori di brevetti, molte case farmaceutiche, potenti, multinazionali, profeti della falsa green economy, insomma, gli strenui difensori dello status-quo ad ogni costo, ma davvero non c’è più tempo da perdere per attuare una vera rivoluzione culturale che deve partire dal basso per riconnetterci e riconciliarci con la Natura, cui siamo ineluttabilmente legati in ogni aspetto.
Trasformiamoci da velleitari e spietati dominatori del mondo, a custodi e coltivatori di pace e armonia con tutto il meraviglioso mondo naturale che ci ospita, tornando a stupirci per la straordinaria bellezza, tutta da contemplare, del “Creato”: riscopriremo cosi la bellezza di saper stare al mondo, al contempo avendo risolto tutti i problemi derivanti dalle nostre iniquità e ingiustizie, anche la fame.

Ing. Fabrizio Cortesi, membro del direttivo di SEqUS (Sostenibilità Equità Solidarietà)


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