ESG e sostenibilità ambientale: un mondo da regolamentare e controllare molto di più?

di Fabrizio Cortesi, consulente in strategie aziendali e di sostenibilità.

Leggendo questo breve articolo dal Sole24Ore (https://amp24-ilsole24ore-com.cdn.ampproject.org/c/s/amp24.ilsole24ore.com/pagina/AEXcDYe) mi sono venute da fare alcune considerazioni sugli investimenti finanziari che dicono di seguire i criteri ESG, quelli cioè basati sui principi Environmental, Social, Governance, portandomi poi a concludere con un po’ di amarezza, e auspicandomi che il greenwashing, troppo spesso in agguato nella cosiddetta transizione ecologica dell’economia, venga colpito più severamente.

Si legge nell’articolo, che la terza azienda cinese (opera in food delivery, bike sharing e altro) leader in ESG, nel suo report di sostenibilità vanta addirittura “l’attenzione per i propri rider: l’azienda li dota di casco e abbigliamento catarifrangente. Inoltre tutti hanno un’assicurazione a cui contribuiscono ristoranti e commercianti che si appoggiano a Meituan per le consegne. Infine la società fornisce anche lo smartphone. Che dire: nulla da invidiare al trattamento dei rider occidentali.”: Permettetemi, oltre che sorridere, di avere molti dubbi che bastino queste autodichiarazioni per essere aziende sostenibili, quando sono le stesse analoghe aziende occidentali di rider, spesso americane, a non rispettare nemmeno i diritti base dei loro lavoratori qui da noi, con episodi di vero sfruttamento della manodopera, spesso a carico delle categorie più disagiate, con turni e condizioni massacranti, anche loro con lo smartphone incluso (che scoperta, è essenziale per ricevere gli ordini dal centro di dispaccio e navigare in tempi da centometrista al prossimo indirizzo di consegna, e se sgarrano li penalizzano), al punto che neanche i sindacati riescono ad ottenere un contratto nazionale decente per la categoria. Però poi magari sono ESG compliant anche queste, per carità.

Per restare all’articolo su ESG in Cina, è davvero difficile poi, poter assegnare credibili classificazioni quando magari ci sono di mezzo sospetti su legami della governance aziendale, spesso peraltro opaca, con il regime del Partito Comunista, a maggior ragione dopo gli incresciosi episodi di controllo militare su Hong Kong, e le gravi repressioni sulle minoranze Uiguri, talvolta monitorati e intercettati anche grazie a complesse tecnologie che qualcuno avrà fornito a governo ed esercito. Tutto ciò, davvero, lascia poco spazio alla speranza per chi chiede il rispetto dei diritti umani (ambito “social”). E fare indagini serie per capire cosa vi sia dietro davvero a certe autodichiarazioni è come scontrarsi con un muro di gomma, in molti casi, basti vedere come esempio l’ultima indagine sull’origine del COVID, che non ha portato assolutamente a nulla a causa del forte ostracismo governativo.

Ma non c’è bisogno di restare in Cina per avere forti dubbi sulle classificazioni e veridicità e rispetto dei criteri ESG da parte di aziende e fondi di investimento: basta benissimo restare in Occidente, e negli Stati Uniti, dove si fanno scoperte interessanti:

E’ di pochi giorni fa la notizia che l’indagine portata avanti dalle autorità di controllo dei mercato finanziari (in USA e Germania) sui fondi di investimento “green” è costatata oltre un miliardo di dollari di crollo del suo corso azionario al colosso DWS (società di asset management controllata da Deutsche Bank), per aver barato (secondo la grave accusa) sulle credenziali ambientali e ESG di svariati suoi prodotti finanziari, ingannando quindi i sottoscrittori.

Come noto, questo tipo di comportamento, purtroppo diffusissimo tra gli operatori economico-finanziari e industriali, è il Greenwashing, ossia l’assegnamento della patente di sostenibilità ambientale anche quando questa non è meritata.

Allo stesso modo si sa benissimo che vi sono certi fondi “green” con in pancia azioni di multinazionali dichiaratamente inquinanti e non sostenibili.

Eppure la Commissione Europea ha da alcuni mesi regolamentato la finanza sostenibile, obbligando da Marzo scorso le case d’investimento di documentare gli annunci di investimenti sostenibili nei loro portafogli.

La cosa preoccupante è che secondo un recente studio di InfluenceMap, a parte DWS, esce un quadro sconfortante della finanza cosiddetta sostenibile: l’analisi restituisce davvero poca fiducia nel settore, dato che su oltre 700 fondi di investimento ESG esaminati, circa il 70% è in realtà incoerente nella composizione dei portafogli, includendo prodotti di BlackRoack, UBS, ma anche gli italiani Intesa Sanpaolo, Bper e Banca Generali, Mediobanca.

Dentro ad alcuni portafogli definiti ESG si sono trovate invece forti emettitori del rango di Total Energies, Kinder Morgan, Enbridge, la finlandese Neste, Halliburton, Chevron ed ExxonMobil: come si rispettano gli accordi di Parigi e i target di neutralità climatica e di CO2 avendo in portafoglio questi giganti fossili?

Il problema qui è a valle, perché se la finanza davvero tagliasse le corde alle industrie non sostenibili, queste, data l’immensa mole degli investimenti sottratti, sarebbero davvero obbligate a dare una forte spinta alla transizione ecologica, ma se la finanza è lei stessa per prima a barare, a monte, le aziende non sostenibili continueranno a ricevere comunque finanziamenti solo perché dispensatrici di lauti profitti a breve, a discapito dell’ambiente, e intanto il nostro futuro sulla Terra se ne va.

Il problema è che, per diffusa che sia, forse nessuno finora viene punito per la pratica del Greenwashing, che non è solo scorretta anche commercialmente, ma particolarmente subdola perché difficile talvolta da verificare (tranne certi casi eclatanti e oggettivamente imbarazzanti, soprattutto nel settore dell’industria fossile, e nella pubblicità), ma anche estremamente dannosa proprio all’ambiente: se un cliente di un prodotto, di un servizio, di un fondo di investimento crede genuinamente di mettere i suoi soldi in qualcosa di sostenibile per cercare di contribuire alla causa ambientale, scegliendo quel prodotto/servizio al posto di altri che non dichiarano le credenziali ESG, ma viene ingannato, significa che a causa di quell’inganno, il cliente ben intenzionato e responsabile in realtà andrà ad impattare sull’ambiente contro la propria volontà, ben più di quanto gli fosse stato prospettato. Da moltiplicare per milioni di consumatori/clienti.

Ingannare sulle tematiche ambientali proprio nella fase globale più delicata dal punto di vista ambientale e climatico come ci ha illustrato nitidamente il sesto rapporto di IPCC sul clima è davvero una pratica diabolica, e i regolatori mondiali dovrebbero tutti insieme legiferare perché non vi sia più spazio per questo tipo di pratiche scorrette, e controllare in modo severo, da parte di autorità di controllo governative e super partes, capillare e globale perché le norme vengano rispettate da tutti, incluso il mondo della pubblicità, industria e finanza.

E la stessa cosa della sostenibilità ambientale cosa vale per i princìpi Sociale e Governance: non ci dovrebbe essere spazio per slogan vuoti, come ho avuto modo di constatare io stesso in numerose occasioni.

In realtà, in un’economia davvero sostenibile, i criteri ESG dovrebbero essere rispettati da tutti per default, e dimostrati, non opzionalmente come presunto valore aggiunto.

Comunque sia, mi auguro che il precedente di DWS faccia rizzare le antenne un po’ a tutte le società, non solo finanziarie, facendo capire che il tema dietro i criteri ESG è estremamente serio e non consente bari.

Come mi piace dire, più che una transizione ecologica dell’economia, il mondo appeso a un filo sul baratro ambientale com’è oggi dovrebbe perseguire una transizione economica dell’ecologia, ossia finalizzare la tecnologia al solo efficientamento di tutti i processi in chiave sostenibile e ecologica, permettendo i risparmi (di energia, di materie prime, di trasporti, ecc) indispensabili per impattare infinitamente meno sul nostro pianeta, ormai esausto e incendiato dalle nostre attività: la tecnologia non deve cioè più essere fine a se stessa, o al servizio della sola economia e del profitto ad ogni costo, ma essere guidata dall’obiettivo comune della sostenibilità, nel ridurre sprechi, impatti, erosione di risorse, il tutto garantendo sempre il rispetto della società e di tutti gli stakeholder (inclusi i lavoratori).

Immagine di copertina di mike langridge Copyright: 2008 mike langridge www.fotdmike.me.uk

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