I CAMPI IN CAMBIO DI QUALCHE POSTO DI LAVORO.

Due dati opposti, due situazioni opposte, due scenari opposti sono il segno di una “involuzione antropologica”: da un lato, secondo il censimento ISTAT del 2021, la scomparsa nel periodo 2010-2021 di 500.000 aziende agricole, dall’altro, l’occupazione espansiva di suolo agricolo da parte dei poli logistici (323 ettari nel 2021 prevalentemente del Nord Est, Rapporto Ispra 2022). Una tendenza climalterante, sconsiderata, in nome di una crescita scomposta e altrettanto sconsiderata dei consumi, come se la “pandemia climatica” non reclamasse risorse, attenzioni, priorità diverse e condivisa da una classe partitica che, all’unisono, straparla di clima e di sviluppo ignorando la “funzione mitigatrice primaria” svolta dalla terra e dal suolo naturale. Un “suicidio ambientale” e un “suicidio sociale”. Una colonizzazione economica portata avanti principalmente da Amazon che sottrae alle popolazioni la terra su cui coltivare cibo e infrastrutture verdi in cambio della promessa di qualche posto di lavoro. Una promessa, quella dei posti di lavoro, che gli amministratori locali si fanno bastare per giustificare la propria coscienza e la sottrazione alla collettività di un bene comune e risorsa non rinnovabile come la terra. Una capacità di analisi nulla e una portata dello sguardo di tali amministratori che non va più in là della punta del loro naso. Come se fosse naturale, a proposito di posti di lavoro, la chiusura in 10 anni di 500.000 aziende agricole, come se queste non significassero, oltre che presidio della nostra sovranità alimentare, 500.000 e più posti di lavoro. Amministratori che si rendono complici di una “simbiosi antropocentrica climalterante” tra “poli logistici” e “infrastrutture”, un legame funzionale che allarga a macchia d’olio la terra cementificata. E il Veneto non poteva mancare all’appello in questo processo involutivo nell’economia, nella produzione, nel commercio globalizzato, nella produzione di cibo e di servizi ecosistemici essenziali per la sopravvivenza del pianeta. In Veneto, agli 800 ettari della Spv (a cui si aggiungeranno i 68 chilometri di opere complementari) dove potevano continuare a vivere e dare lavoro decine di aziende agricole, si aggiungono i 20 ettari del polo logistico di Rovigo, i 13 ettari del polo logistico di Nogarole Rocca e i 23,1 ettari del nascente polo logistico di Roncade: un consumo di terra fertile perpetrato con drammatica superficialità da amministratori e sindacati in nome di qualche posto di lavoro e sfruttamento. L’insediamento del Polo logistico di Amazon a Roncade è salutato addirittura con entusiasmo dal sindaco, sia per i 1700 posti di lavoro che diventeranno 2700 nel periodo dell’esplosione consumistica e climalterante del Natale, sia per la richiesta di abitazioni da costruire, di opere complementari, bretelle e parcheggi che si determinerà: ancora consumo di suolo. Nessuna riflessione sui posti di lavoro locali spazzati via dalla globalizzazione/digitalizzazione imperialistica di Amazon. Nessuna riflessione sulle difficoltà di piccoli artigiani, piccoli negozi, piccole imprese a stare sul mercato, magari con posti di lavoro a norma: un “suicidio sociale” ed “economico” dove muoiono posti di lavoro, relazioni, storie, identità economiche e culturali locali. Sta sparendo la centralità dell’ operaio, dell’artigiano, del piccolo produttore, prevale quella del “cittadino consumatore” e la politica non riesce a interrogarsi se ci siano altre strade da percorrere in nome di una “sovranità politico-economica” da esercitare con coraggio. Si finisce per non percepire più il processo produttivo, la perdita endemica di posti di lavoro, la catena relazionale fra individui perché si vive solo la dimensione dell’atto acquisitivo di merci e l’unica occupazione che si crea è quella del paesaggio urbano e sociale da parte di migliaia e migliaia di corrieri che spostano oltre confine lo scontro tra sfruttatori e sfruttati. Tale scontro non appare: è l’evoluzione-adattamento del capitalismo che nasconde lo sfruttamento di risorse, di uomini, con il consenso globale dei consumatori globali, di noi tutti, che compriamo tutto convulsamente per il prezzo, per il tempo che non abbiamo, per lo status sociale di consumatori globali in un’economia globale. I nostri amministratori fanno di più: forniscono senza alcuna remora le basi per l’espansione commerciale di imprese multinazionali, un po’ come gli stati che, rinunciando alla loro sovranità politica, concedono a potenze straniere le proprie basi militari per una guerra che in un modo o nell’altro ci danneggerà.
Schiavon Dante, Associato a SEQUS (Sostenibilità Equità Solidarietà)