I gattopardi dell’ecologia: l’apologo del risotto alle ortiche biologiche e l’acqua del rubinetto nei contenitori di cartone poliaccoppiato

di Maurizio Pallante
Qualche anno fa a Roma una trattoria proponeva nel suo menu un risotto alle ortiche biologiche. Una piccola trappola per gonzi che qualche volta sarà sicuramente scattata e chi c’è caduto, diciamocelo pure, se l’è meritato.
In un delizioso libretto intitolato Allegro ma non troppo, pubblicato nel 1988, l’economista accademico Carlo Maria Cipolla classificò gli esseri umani in quattro categorie fondamentali: coloro che da una loro azione ottengono un vantaggio e nello stesso tempo procurano un vantaggio ad altri; coloro che da una loro azione ricavano una perdita e procurano un vantaggio ad altri; coloro che da una loro azione ricavano un vantaggio causando una perdita ad altri; coloro che da una loro azione ottengono una perdita e causano una perdita ad altri.
Si potrebbe pensare che il gestore di quella trattoria possa essere inserito nel quadrante di coloro che dalle loro azioni ricavano un vantaggio causando una perdita ad altri, ma probabilmente andrebbe inserito nella sottocategoria di coloro che tentano di sfruttare la dabbenaggine altrui per ricavare un vantaggio senza necessariamente danneggiarli, perché non si può escludere che il suo risotto fosse buono e non costasse più della media. Tuttavia è probabile che tra i passanti in cerca di un posto dove pranzare siano stati di più coloro che, leggendo il menù sulla lavagnetta davanti all’ingresso, si siano fatti una risata e se ne siano andati, rispetto a coloro che sono entrati attratti dall’aggettivo biologico. In questo caso il gestore di quella trattoria si sarebbe procurato una perdita dal tentativo di turlupinare altri, ma senza riuscirci.
Non è necessario spiegare che non basta usare l’aggettivo biologico per dimostrare di essere ambientalisti, né che lo siano coloro che a ogni piè sospinto parlano di resilienza, di economia circolare o di sviluppo sostenibile, ma questo piccolo aneddoto ci ammonisce che, se queste parole si usano a sproposito per millantare di esserlo, in realtà si dimostra il contrario di ciò che si vorrebbe dimostrare: si svela il lupo celato sotto la veste dell’agnello.
Il 22 marzo 2022 l’amministrazione comunale di Milano, guidata da un sindaco se-dicente ecologista, ha celebrato la giornata mondiale dell’acqua deliberando l’acquisto di «una macchina per il riempimento di cartone poliaccoppiato» con cui inscatolare l’acqua pubblica in contenitori identici a quelli generalmente utilizzati per il latte o per il vino Tavernello. L’unica differenza è che vi campeggiano lo stemma della città e la scritta L’acqua del Sindaco. Costo della macchina 981.280 euro, cui occorre aggiungere il costo dei cartoni e del personale addetto al confezionamento. L’utilità dell’operazione è del tutto incomprensibile, dal momento che per bere quell’acqua in casa, nei luoghi di lavoro, negli uffici pubblici, ai milanesi basta aprire il rubinetto di un lavello e riempire bicchieri e bottiglie, o una borraccia, meglio se griffata. O possono fare il pieno in una delle 53 casette dell’acqua. E se vengono colti dall’arsura quando sono per strada, possono berla a una delle 650 fontanelle comunali.
Se con questa operazione il sindaco se-dicente ecologista voleva manifestare pubblicamente la sua sensibilità ambientale, ha ottenuto l’effetto contrario, non solo perché ha scaricato sulle tasse pagate dai suoi concittadini il costo di un non-servizio, ma anche perché i contenitori poliaccoppiati dopo l’uso fanno aumentare la quantità dei rifiuti da smaltire. E se si obbiettasse che un’amministrazione ambientalista come quella di Milano i rifiuti li fa raccogliere in maniera differenziata e li fa riciclare, ammesso e non concesso che i poliaccoppiati possano essere riciclati facilmente e completamente, questa argomentazione dimostrerebbe mancanza di logica e ignoranza. Mancanza di logica perché qualsiasi persona di buon senso capisce che ridurre i rifiuti è meglio che aumentarli e riciclarli. Ignoranza perché basta aver fatto la terza elementare per capire che il riciclo dei rifiuti comporta comunque un consumo di energia.
Utilizzando la classificazione di Carlo Maria Cipolla, il sindaco di Milano si è procurato un danno di immagine causando un danno economico ai suoi cittadini e un danno ecologico. Fare di peggio sarebbe stato difficile. Ma il merito non è tutto suo. Lo condivide con Elena Grandi, assessora verde all’ecologia, che sulle politiche ambientali dovrebbe saperne più di lui. La vicenda è stata male accolta dai consiglieri dei Verdi di Milano (stesso partito di Grandi) che hanno prontamente preso le distanze.