Il Piano Nazionale Ripresa Resilienza: si investe in competitività ma non in iniziative capaci di Futuro
Nel documento che andrà sottoposto al vaglio dell’UE, si parla molto di resilienza come di qualcosa di avulso dal sistema ambientale, qualcosa che riguarda solo gli aspetti economici, sanitari, dei servizi, etc. qualcosa che addirittura si può “rafforzare” come se la resilienza non sia una caratteristica propria di un’entità materiale e in generale del Mondo naturale, in cui l’economia e tutte le attività sociali si sono sviluppate e in cui continuano a proliferare, a mutare e a perire.
È un documento chiaramente rivolto alle iniziative per sostenere investimenti da destinare alla ripresa della crescita economica e punta tutto sul rilancio di ogni forma di “competitività e resilienza del sistema produttivo”.
Si leggono frasi di questo tipo associate alla resilienza:
- “Rafforzare la resilienza con il rafforzamento della competitività economica”;
- “Rafforzare la sicurezza e la resilienza del Paese a fronte di calamità naturali, cambiamenti climatici, crisi epidemiche e rischi geopolitici”;
- “Garantire la sostenibilità e la resilienza della finanza pubblica”;
Tra le sfide dichiarate esplicitamente nel PNRR vi è quella di “Migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia”.
Anziché parlare di come va ricostituito il “capitale naturale“, quello già compromesso e quello in via di “evaporazione” e “dissoluzione” sotto le cui “fatture antropiche” si sta trasformando passivamente e infelicemente anche l’economia, il Governo italiano sembra interrogarsi solo sulla nuova “natura del capitale“.
La resilienza viene centellinata come contorno ai soliti concetti, tanto cari ai fautori dello sviluppo e della crescita senza progresso, un condimento di pietanze divenute insipide più che argomento fine a sé stesso di cui occuparsi in modo assoluto e prioritario, un “bel termine” originale per poterne sperare in breve anche una discreta moda tra gli economisti, un termine cool usato per aiutare gli economisti “un volgo disperso che nome [più] non ha”, (direbbe Manzoni), a ritrovare l’orizzonte e continuare a fare “non scelte” volte alla difesa dal cambiamento climatico che ormai è pura disfatta e incarna le sembianze di una palese resa tramutandosi, nel contempo, in un fattuale e concreto sostegno allo stesso cambiamento climatico.
Ci saremmo aspettati di leggere finalmente dell’impatto economico dei cambiamenti climatici e di quanto di positivo e resiliente vi fosse davvero nella risposta sociale globale all’ultima pandemia da COVID, degli impatti ambientali e sociali legati alle derive liberiste dell’economia finalizzata non più al benessere ma alla crescita del PIL, sempre più costituito da investimenti in attività di riparazione dei danni e difesa in nome della resilienza, dagli effetti calamitosi legati all’incremento antropico della CO2 .
Ci saremmo aspettati un’analisi della resilienza del nostro sistema climatico che impatta e nel contempo interroga, mettendola con le spalle al muro, l’economia tradizionale, il nostro clima costituito di materia ed energia, “deformato” (a colpi di emissioni climalteranti di CO2 , CH4 e inquinamento diffuso), dalla sua forma iniziale che ha garantito lo sviluppo della vita e la prosperità anche economica degli esseri viventi.
Ci si sarebbe aspettato definitivamente in piena pandemia e sotto le evidenti e sempre più frequenti calamità naturali figlie del cambiamento climatico, che si fosse redatto finalmente un documento politico saggio e lungimirante dall’ampio e visionario respiro che prendendo le mosse da un’analisi dello status quo, prendesse coscienza del livello di resilienza dei sistemi sociali e naturali, non sempre e solo di quelli immaginifici legati all’economia competitiva che di nuova visione economica ha proprio niente.
Se vi fosse la certezza che le proposte formulate nell’ambito della Sostenibilità nel PNRR avessero ampia garanzia di riduzione anche progressiva, della concentrazione di CO2 in atmosfera, allora si potrebbe affermare che il redattore del PNRR abbia inteso tutelare i sistemi economici tradizionali analizzandone la resilienza cioè, la loro capacità di non essere scalfiti dalla lunga fase di crisi che li sta piegando in modo irreversibile.
Quindi solo nel caso in cui il redattore del PNRR e lo stato membro che lo propone all’UE siano in grado di ritenere con ragionevole o assoluta certezza che la nuova economia resiliente proposta nel PNRR sia in grado di riparare il clima, ridurre fino ad azzerare lo scioglimento dei ghiacciai e nel contempo in grado di sanare le ferite subite dai cataclismi da tutti i nostri territori urbanizzati e non, si potrebbe ritenere lungimirante e responsabile tale PNRR potendo arrivare addirittura ad apprezzarne l’atto di ignorare completamente la resilienza dei sistemi naturali, rappresentando, in tale ipotesi, gli stessi sistemi naturali, non più un problema di cui occuparsi.
Dove sono i pareri della Comunità scientifica nazionale che sottoscrivono e avallano la possibilità delle “nuove” (si fa per dire) proposte economiche contenute nel PNRR, di poter continuare, nella loro solita attività economica tradizionale addirittura rafforzandosi nella sua resilienza, di intaccare i cicli naturali anche a discapito ormai è sotto gli occhi di tutti, della permanenza della vita umana, non umana e vegetale sulla Terra e in primis nelle Città?
C’è qualche climatologo che è disposto a garantire che della resilienza di questa economia si debba e si possa ancora augurarsi di poter parlare, potendo questa economia ritenersi avulsa dai contesti territoriali e naturali in cui dovrà in modo resiliente garantire la perfetta continuità con il passato?
È forse la nuova frontiera dell’economia sostenibile e oggi anche resiliente, l’edificazione di tante opere di difesa dai tanti e ancora non subiti, impatti sulle attività antropiche, del cambiamento climatico?
Per semplificare :
- È forse investendo in muri di cemento armato per difendere i piazzali delle industrie inquinanti e climalteranti dalle piogge torrenziali e dalle alluvioni, che l’economia diventa resiliente?
- È forse difendendo dalle alluvioni, rialzando le pavimentazioni dei piazzali di sosta dei treni di tir che trasportano rifiuti urbani agli inceneritori, con altro cemento e asfalto, che l’economia diventa resiliente e intrisa di sviluppo sostenibile?
Come non accorgersi che queste ipotesi garantiscono lo status quo emissivo delle attività economiche e industriali che maggiormente impattano sul clima e, dunque, su se stesse?
Come non si riesca o si voglia ancora ammettere che le calamità naturali che piegano le attività economiche alla stregua di una barra di acciaio ormai prossima allo snervamento già ben al di là di ogni sua resilienza, sono il frutto dell’impatto climalterante legato proprio a quanto e come vengono pensate le nostre attività economiche?
Resta un mistero in che modo i sussidi elargiti dall’UE e girati dal nostro Stato alle attività economiche e produzioni industriali tradizionali possano ricucire le fratture ambientali e contrastare l’accelerazione dei processi di mutamento climatico mettendo al sicuro le stesse attività economiche dalle forzanti naturali frutto di tanti stress ambientali.
È vero che l’essenziale sfugge agli occhi, ma manca proprio tutto ciò che è essenziale in questo PNRR!
Come si può pensare di produrre in modo sicuro nel medesimo modo e le medesime cose, commissionando tali produzioni per giunta all’estero, in Asia per esempio, finalizzando ancora questa economia bollata col nuovo epiteto di “resiliente” nella crescita degli scambi di denaro sotto forma di merci, di lavoratori sottopagati, di marketing da call center ossessivo, di speculazioni finanziarie e tanto altro ancora, è proprio ciò che minerà con nuove alluvioni sempre di più “i piazzali su cui arrivano e partono le merci, anche se saranno rialzati per evitare l’ingresso dei battenti d’acqua alluvionale” perché è proprio il rialzo fatto per garantire e preservare la produzione, già insufficiente ed esso stesso realizzato in modo insostenibile.
Nessun riferimento alla resilienza economica intesa come rifugio, in periodo di crisi-cambiamento economica, in attività sociali salvifiche e di redistribuzione diffusa dei redditi, è reperibile in questo nostro PNRR, confermando la solita e anacronistica visione liberista che l’Italia continua in modo inerte a sottoporre al vaglio dell’UE.
Sarà tanto incauta l’UE da non accorgersi che si potrebbe trattare di un clamoroso “fuori tema”?
Eppure in soccorso ci viene la Scienza che introduce e definisce il termine “resilienza” molto usato per esempio in ingegneria e in meccanica, facendola entrare in gioco, invocandola per definire il grado/livello di sollecitazione o un insieme di forze applicate a carico di un corpo o di una struttura, che, pur causandone la deformazione, non ne provocano il collasso e con esso l’impossibilità di ricostituzione della forma iniziale.
Potendo ritornare alla sua forma iniziale, il corpo sottoposto a deformazione, non avendo superato il suo specifico punto di resilienza caratteristico del materiale che lo costituisce, riesce a “ricostituirsi” in modo intatto nella sua forma iniziale senza danneggiamento o snervamento subito : tornando come era prima dell’applicazione delle forze che lo hanno deformato, esso restituisce anche tutta l’energia di deformazione che lo aveva piegato/deformato.
Se invece si supera con l’applicazione delle forze di deformazione, il livello di resilienza massimo, si supera ogni limite di stress di risposta elastica alla deformazione, cagionando lo snervamento in fase anelastica e infine la rottura.
Se dunque il PNRR rappresenta scenari economici in cui si approccia all’economia per salvaguardarla dai tanti stress che la rallentano e ne cagionano il cambiamento, più responsabile e intelligente sarebbe trovare la causa delle forze che la stanno piegando, riconoscerle e rendere conveniente il perseguimento dell’obiettivo di un loro progressivo allentamento.
In questo modo il corpo economico e sociale, stressato, inizierebbe a rialzarsi naturalmente, a riprendere la sua forma originaria restituendo, anche per risposta elastica, l’energia assorbita sotto forma di economia del “benessere” senza condizioni e garantito a tutti a parità, anzi, in quasi certa e istantanea e incoraggiante riduzione di emissioni climalteranti, di emissioni inquinanti e di impatti ambientali ormai devastanti legati e consequenziali alla mercificazione delle finalità dell’economia, mercificazione che inviluppa ormai tutti gli attori sociali che la conducono, delle tante iniquità e ingiustizie prodotte dal modello competitivo.
Se dunque politicamente si azzarda in più punti nel PNRR, l’utilizzo del termine resilienza, andrebbe un attimo prima fatto un approfondimento scientifico sull’applicabilità dello stesso concetto ai sistemi sociali, andando per gli stessi a verificare ogni possibilità di restituzione elastica dell’energia di deformazione assorbita e su essi applicata sotto forma di stress deformanti che l’hanno allontanata (chissà quanto), dai cicli vitali propri e confacenti al suo status originario.
Sul livello di deformazione che le forzanti antropiche hanno causato ai sistemi ambientali, naturali e sociali, andrebbe poi capito :
se ve ne fosse uno a cui poter auspicabilmente ritornare, qual è la forma iniziale a cui vogliamo/possiamo far riferimento;
- l’energia che siamo disposti a investire come membri della società, o che possiamo subire dalla risposta elastica del sistema sociale sotto stress qualora vi sia ancora un livello di restituzione elastica in cui poter sperare dello stesso;
- se il sistema ha varcato già il limite elastico e se è ancora recuperabile in modo duttile la sua forma originaria da cui tutti proveniamo, tanto come esseri viventi tanto come Homo Oeconomicus derivati, o siamo prossimi alla rottura definitiva.
Siamo certi che per il ciclo climatico si possa parlare di resilienza e di non aver varcato, anche per esso, il punto di non ritorno?
E infine : l’assestamento totale nel ritorno alla forma iniziale o parziale in caso di già cagionato snervamento, è possibile con l’applicazione ancora ben presente e perenne di forze antropiche che continuano a piegare e a snervare il sistema?
Paradossalmente la presenza di forze naturali come uragani, alluvioni, piogge e grandinate violentissime, sembrano rappresentare chiaramente una risposta alla deformazione antropica, quindi si può presumere che il punto di rottura non sia ancora raggiunto per i cicli naturali, che certamente hanno ancora tantissima energia di deformazione disponibile e che restituiranno inesorabilmente riversandola tutta anche addosso a noi, ai nostri figli non solo sui piazzali “rialzati” delle attività economiche resilienti.
Non oso immaginare, dal punto di vista dei cicli climatici e naturali, cosa possa rappresentare dal punto di vista fenomenico, il punto di rottura o un livello di deformazione ad esso più prossimo rispetto all’attuale situazione.
Al termine di questa analisi molto complessa, sarà a tutti chiaro se la presenza dell’azione antropica così come la conosciamo anche nei termini del futuribile sviluppo sostenibile, può ancora essere compatibile anche con il concetto di resilienza o invece, risulti essere una illusione pura considerare resiliente anche questo sviluppo probabilmente scevro di coraggio e ancora troppo lontano dall’imbocco della strada salvifica e ormai matura della transizione economica dell’Ecologia.
Francesco Girardi
Comitato scientifico di SEQUS
Ingegnere per l’Ambiente e il Territorio
Resp. Tecnico Albo Gestori Ambientali per gestione Rifiuti Urbani Energy Manager FIRE/ENEA
Foto di Mirko Bozzato da Pixabay