IL TAXI BOB PER CONTRASTARE LO SPOPOLAMENTO DELLA MONTAGNA VENETA?

Di Dante Schiavon

La capacità attrattiva di un luogo di montagna come si misura? La risposta che è stata data nel corso degli ultimi 40 anni è stata semplice: si misura dalla quantità di impianti e di strutture per il comfort e le comodità del turista consumatore. È prosperata così una “monocultura turistica di tipo industriale” che ha consolidato un “assioma culturale” in base al quale il “consumo di suolo” e “l’artificializzazione delle superfici naturali” equivalgono  a sviluppo e occupazione. Gli appelli degli ambientalisti sulla “nocività ecologica” di tale assioma sono stati ignorati e si è continuato a manomettere siti naturali e habitat allo scopo di rendere sempre più agevole e confortevole la fruizione turistica della montagna. In particolare si è diffusa un’industria dello sci in parallelo al moltiplicarsi degli impianti di risalita. A rendere visibili gli scricchiolii di tale “monocultura turistica di tipo industriale” ci hanno pensato, purtroppo per il pianeta e per l’umanità intera, gli “effetti termici” dei cambiamenti climatici. In Italia, ad oggi, sono  311 le ski-aree dismesse perché situate a quote inferiori ai 1500 metri dove la neve scarseggia e le miti temperature invernali degli ultimi anni non le consentono di durare o di essere sparata con i cannoni. In Veneto risultano dismesse o in stato di abbandono 36 ski aree con tali caratteristiche e sono attualmente in attività 186 impianti di risalita le cui perdite di esercizio vengono annualmente sovvenzionate con soldi pubblici. Ben 27 impianti di risalita sono presenti nella ski area di Cortina, ma, nonostante il dato di una imponente  infrastrutturazione sportiva,  si è pensato bene di finanziare con 19 milioni di euro un nuovo impianto per collegare le Tofane alle 5 Torri, secondo quell’assioma nato 40 anni fa, ossia che l’artificializzazione della montagna è l’unico modo per creare occupazione e sviluppo nella montagna veneta. Il “substrato culturale”, o meglio, “l’equivoco di fondo” consiste nel ritenere  che solo la fruizione turistica e solo quel turismo modello “località balneare di massa”  porti sviluppo e occupazione. Tralasciando  la considerazione su chi fa veramente i soldi secondo tale modello di business il “limite” di questo assioma è talmente evidente da passare inosservato. Trasformare i siti naturali secondo i canoni di un turismo di massa, “modello località balneare”, comporta la distruzione e la sottrazione alle future generazione del “bene comune”  più prezioso in termini naturalistici, economici, paesaggistici, quella “natura”,  blaterata dai suoi carnefici, la sola in grado di mantenere inalterata nel tempo la “capacità attrattiva” della montagna veneta. Si blatera di “turismo  sostenibile” nel mentre le attività che secondo taluni dovrebbe favorirlo distruggono il bene che lo definisce: demenziale! Come se la natura anche in montagna non mostrasse segni di sofferenza, oltre che per gli interventi dell’uomo, anche per gli effetti dei cambiamenti climatici. In questo quadro tragicomico appare ridicola la dichiarazione del Presidente della Regione Veneto tesa a giustificare la forzata costruzione della pista da bob a Cortina. Per costui una volta terminato l’evento “panem et circenses” olimpico ci sarà, grazie alle costose  corse con il taxi bob offerte ai turisti, una nuova attrazione per Cortina. Una dichiarazione che  mostra tutti i ritardi di elaborazione e strategici nel delineare, nel tempo dei cambiamenti climatici,  un percorso per dare un futuro alla montagna veneta senza “snaturare” la sua anima.  Basta pensare al “tantissimo” che si potrebbe  fare a favore del “ripopolamento” della montagna veneta con il “tantissimo” denaro dei contribuenti stanziato, ahimè, solo per le opere infrastrutturali e sportive in Veneto in occasione delle Olimpiadi del 2026. Come se la montagna veneta fosse solo Cortina, turismo d’elite, residences & hotel 5 stelle superior e non esistessero valli e centri minori la cui vita economica e sociale si sta spegnendo e che rende paradossale l’avvitamento del dibattito sulla utilità per le popolazioni di montagna della pista da bob. Il “ripopolamento” della montagna può avvenire solo se si  accettano (e in fretta) i limiti di uno “sviluppo antropo-cementocentrico” in montagna, aggiornando le vecchie categorie di analisi economica e sociale dei territori di montagna, altro che taxi-bob. Inoltre, il ripopolamento della montagna veneta passa anche attraverso l’accettazione dell’oggettiva “trasformazione geomorfologica e meteorologica” degli ambienti di montagna indotta dai cambiamenti climatici. Il turismo, “modello località balneare di massa”, è un turismo che “deforma” la montagna, la “snatura” nel vero senso della parola. Va scardinata una “monocultura turistica di tipo industriale” secondo la quale solo il “consumo di suolo” e “l’artificializzazione turistico-ricreativa” delle superfici naturali equivalgono  a sviluppo e occupazione. Per una nuova visione della vita economica e sociale delle popolazioni di montagna è necessario considerare i loro bisogni come bisogni tipici di una qualsiasi comunità, in cui il lavoro, l’economia, la socialità, la salute, la qualità della vita siano accompagnati  da una sufficiente rete di servizi: scuola, pronto soccorso e assistenza medica, centri di aggregazione, trasporti, ecc. Gli incentivi e i finanziamenti per favorire il ripopolamento della montagna non possono prescindere dalla garanzia per tali popolazioni di avere sufficienti servizi alla persona: da quelli sanitari a quelli che consentono una dignitosa qualità della vita. Lo stesso “lavoro a distanza” opportunamente agevolato e incentivato potrebbe essere uno strumento per favorire nuove forme di residenzialità in montagna. 

I 19 milioni spesi per l’impianto a fune “Cortina Skyline”, i 61 milioni stanziati  per la costruzione della “pista da bob” e, soprattutto, parte considerevole del miliardo stanziato dal  governo per le opere infrastrutturali delle Olimpiadi del  2026 in Veneto dovrebbero invece essere utilizzati con maggiore lungimiranza a favore delle popolazioni locali per favorire la “residenzialità” e  una “immigrazione a titolo definitivo o stagionale” verso la montagna, dettata, da un lato,  dagli effetti dei cambiamenti climatici e, dall’ altro, dalla ricerca di nuovi modelli e stili di vita da parte di cittadini che vogliono fuggire dalla congestione urbanistica e dall’inquinamento dei nostri invivibili centri urbanizzati. Il turismo, ovviamente, potrà costituire per le popolazioni della montagna veneta la voce più importante, ma ricalibrato in funzione dei cambiamenti climatici in atto, favorendo un “turismo distribuito nelle 4 stagioni dell’anno” attraverso una ricettività di qualità in grado di fornire molti servizi alla persona e che valorizzi la bellezza della natura nei diversi periodi dell’anno, o, durante l’estate  un “turismo salutistico e sanitario” per le persone fragili alle prese con le isole di calore delle nostre città cementificate e senza alberi. E, proprio perché i bisogni delle popolazioni di montagna sono i bisogni tipici di una qualsiasi comunità, incentivi, sovvenzioni e finanziamenti, che oggi prendono solo la strada del ripianamento del deficit degli impianti di risalita con i loro alti costi ambientali ed energetici, devono annoverare tra i beneficiari i “negozi” e gli “esercizi commerciali” nei paesi in abbandono,  le “attività agricole” e di “commercializzazione” dei prodotti della terra sapendo che l’innalzamento della temperatura rende possibili alcuni tipi di coltivazione e allevamento anche a quote medie e basse, le “attività selvicolturali” che non prevedano tagli a ceduo e/o per alimentare centrali a biomasse, le “attività artigianali” di manutenzione e restauro del patrimonio edilizio in abbandono. Insistere ancora sull’industria dello sci con una materia prima come  la neve, sempre più ingestibile per gli effetti dei cambiamenti climatici, sull’impiantistica, su nuove infrastrutture ricreative e stradali oltre a compromettere paesaggisticamente e turisticamente habitat da tutelare e conservare, sottrae risorse per un nuovo modo di vivere la montagna e fermarne lo spopolamento. Anche il capitolo infrastrutture e trasporto pubblico  previsto per i luoghi delle Olimpiadi di  Cortina del 2026 lascia perplessi per le tante opere stradali  finanziate che finiscono per sottrarre risorse per finanziare la riattivazione della linea ferroviaria Calalzo-Cortina e rendere più costosa e impattante una sua eventuale futura realizzazione. La ridicola dichiarazione del governatore che giustifica la nuova pista da bob con la possibilità di aumentare le attrazioni di Cortina offrendo  costose corse a pagamento con il taxi bob finisce quindi per rallentare un percorso virtuoso di maggiore consapevolezza dei veneti in un’ epoca geologica  complessa  come l’attuale e blocca una nuova elaborazione di quello che può dare la montagna veneta ai suoi abitanti  nel tempo dei cambiamenti climatici.

Schiavon Dante

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