INSEDIAMENTI LUNGO LA SPV E POLI LOGISTICI: NON CESSA LO STERMINIO DEI PRATI

Era tutto molto prevedibile. I dati sull’accelerazione del consumo di suolo, dovuto alla richiesta da parte dei grandi gruppi economici e commerciali di insediarsi sui “terreni agricoli” vicini ai caselli della Spv, sono impressionanti e riguardano tutti i comuni attraversati da un’arteria stradale “nociva” sotto diversi punti di vista. Il serpentone di asfalto della Spv si sta già trasformando in una piovra: allunga i suoi tentacoli di asfalto e cemento sui terreni agricoli vicini ai caselli. Grandi aziende e nuovi centri commerciali scelgono di insediarsi, in nome della “funzionalità logistica”, nelle “aree agricole” nei pressi dei caselli della Spv: un vero e proprio “accanimento terapeutico” a base di asfalto e cemento, nonostante ci siano già ben 92mila capannoni industriali (di questi: 11 mila sono vuoti o inutilizzati) in ben 5679 zone industriali che occupano 41.300 ettari di terreno, cioè quasi 60 mila campi da calcio, il 20 per cento di tutto lo spazio edificato nella regione. Per i sindaci dei comuni attraversati dalla Spv va tutto bene, anzi, non vedono l’ora di rendere edificabile un terreno agricolo e premono sulla “cementocentrica giunta regionale” per chiedere nuove strade che allegeriscano la congestione da traffico indotta dalla Spv nei territori che amministrano.
In Veneto e nel Nord Est prolificano anche i “poli logistici”, in una riedizione del miracolo del Nord Est, un miracolo che ha già comportato, attraverso un’urbanizzazione selvaggia e la creazione di zone industriali ad ogni campanile o frazione di comune, la scomparsa dell’agricoltura contadina (esclusa la monocoltura intensiva del Prosecco che dilaga in 9 province del Nord Est). Ora il Veneto ed il Nord Est spalancano le porte alle attività dell’ e-commerce. Dal 2017 al 2019 in Veneto sono sorti “poli logistici” che hanno comportato la scomparsa di 172 ettari di suolo agricolo (Rapporto Ispra 2021). Anche nel 2021 nel Nord Est ben 105 ettari su 323 (Rapporto Ispra 2022) sono stati occupati da nuovi poli logistici confermando il ruolo di capofila di questa area del paese nella “pianificazione urbanistica subalterna” agli interessi dei grandi gruppi multinazionali. Le dimensioni di tali strutture sono gigantesche: 20 ettari il polo logistico di Rovigo, 13 ettari il polo logistico di Nogarole Rocca-Vr, 50 ettari il polo logistico di Casale sul Sile-Tv, 23,1 ettari il nascente polo logistico di Roncade-Tv)
Una colonizzazione economico-produttiva, portata avanti principalmente da Amazon, che sottrae alle popolazioni locali la terra su cui coltivare cibo e infrastrutture verdi in cambio della promessa di qualche posto di lavoro. Come se fosse naturale, in Italia, a proposito di posti di lavoro, la chiusura in 10 anni di 500.000 aziende agricole, come se queste non significassero, oltre che presidio della nostra “sovranità alimentare”, 500.000 e più posti di lavoro. Per molti sindaci risulta naturale, nella loro colpevole ignoranza sul “valore ecologico primario” della terra, scomporre il singolo elemento (l’occupazione) dall’insieme (perdita di suolo verde, perdita di suolo e di lavoro agricolo, perdita di posti di lavoro locali spazzati via dalla globalizzazione/digitalizzazione imperialistica di Amazon e relativo deterioramento dell’economia sociale dei territori). Nessuna riflessione da parte dei sindaci sulle difficoltà di piccoli artigiani, piccoli negozi, piccole imprese a stare sul mercato, magari con posti di lavoro a norma: un “suicidio sociale” ed “economico”, in seguito al quale muoiono posti di lavoro, relazioni, storie, identità economiche e culturali locali.
Se si misurassero con la “complessità” e le “relazioni” che caratterizzano gli elementi che compongono l’attuale fase economica e ambientale a livello globale tali sindaci, che con superficialità alienano i beni comuni al colosso privato, scoprirebbero, tra l’altro, che i posti di lavoro non sono quantitativamente e qualitativamente dignitosi, ma precari e sottopagati. In questo senso basta leggere lo studio del centro studi EBiComLab, Ente Bilaterale del terziario in provincia di Treviso, che ha studiato i dati dei 7 centri Amazon già funzionanti, simili per dimensioni e numero di occupati al nascente polo di Roncade. In tale studio emerge che, dei 1400 rapporti di lavoro che Amazon promette di attivare in 3 anni al polo di Roncade, ben 976 (il 69,7%) siano destinati a cessare. Del rimanente 30% di assunzioni definitive solo il 18% ha un rapporto a tempo indeterminato, mentre l’82% ha forme di lavoro flessibili (un modo green per definire i lavori precari). Inoltre, se i sindaci si misurassero con la “complessità” e le “relazioni” fra gli elementi che compongono l’attuale fase economica e ambientale a livello globale scoprirebbero la necessità, per il territorio che amministrano, di mantenere e consolidare i “servizi ecosistemici del suolo” (produzione di cibo sano e sovranità alimentare, assorbimento della CO2 e delle polveri sottili, assorbimento dell’acqua meteorica, mitigazione della calura estiva, ecc.). I “servizi ecosistemici” di cui hanno bisogno i loro cittadini per la “vita biologica” nel tempo dei cambiamenti climatici, sono altrettanto importanti dei posti di lavoro.
Alcune domande sulle conseguenze ambientali di questo dilagare dei “poli logistici” se l’è poste il sindaco di Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria, un piccolo comune di 5000 abitanti, che si è chiesto: “perché consumare ettari di campi agricoli per costruire poli logistici a supporto del commercio elettronico quando sono disponibili spazi già urbanizzati?”. Nel suo Comune saranno utilizzati sei lotti (per un totale di 50 mila metri quadri) in un’area industriale già urbanizzata e una confinante superficie dismessa (altri 100 mila metri quadri) anch’essa già urbanizzata, impermeabilizzata e con capannoni da recuperare o abbattere.
Schiavon Dante, associato SEquS