Intersezionalità: come combattere le oppressioni in modo inclusivo



Quando si parla di combattere le ingiustizie sociali o climatiche, ad un certo punto di approfondimento, ci si accorge che inevitabilmente si finisce con il parlare di altre forme di disobbedienza simili e correlate: femminismo, anticonsumismo, antimilitarismo…

L’intersezionalità è un approccio che considera come le diverse forme di oppressione (come razza, genere, classe sociale, sessualità e disabilità) si intersecano e si influenzano a vicenda promuovendo una maggiore consapevolezza delle interconnessioni delle oppressioni e cerca di creare una lotta più inclusiva per la giustizia sociale.

Ma a cosa serve? Perché è importante “mischiare” tutte le battaglie? Non sarebbe meglio portarne a termine almeno una?

Per rispondere a questa domanda provo a portare un esempio concreto, ovvero la nozione, ormai sempre più diffusa, che ridurre le proteine animali nella nostra dieta quotidiana può ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti, almeno di quelli intensivi, considerevolmente.
Alcune organizzazioni ambientaliste, come il think tank britannico Chatham House, hanno persino proposto una riduzione radicale del consumo di carne del 90% entro il 2050 per ridurre l’impatto ambientale dell’allevamento. Secondo il rapporto pubblicato da Chatham House intitolato “Changing Climate, Changing Diets: Pathways to Lower Meat Consumption”, questa riduzione potrebbe portare a una riduzione del 63% delle emissioni di gas a effetto serra del settore alimentare.

E il 10% restante? Perché possiamo mantenere questa modica quantità di sfruttamento animale? Perché entro questo limite “possedere” gli animali e poter disporre della loro vita è plausibile?
Vi immaginate se parlassimo di libertà ma fossimo d’accordo ad avere il 10% di popolazione schiava? Vi immaginate se parlassimo di femminismo ma fossimo d’accordo ad avere 10% dei matrimoni combinati?
Questa cifra rappresenta esattamente la causa per la quale oggi siamo in questa situazione sociale ed ambientale, ovvero l’oppressione e lo sfruttamento di qualsiasi “cosa” il diritto naturale ci consenta, sia esso il predominio dell’uomo sulla donna, del bianco sul nero, del ricco sul povero o dell’essere umano sulla natura.

Le dinamiche di dominazione dell’essere umano sugli animali e degli uomini sulle donne sono strettamente interconnesse e interdipendenti all’interno di una cultura patriarcale e si basano sulla stessa logica di sfruttamento e disumanizzazione: entrambi i gruppi vengono ridotti a oggetti di consumo e sviliti dal loro valore intrinseco. In questo caso, l’antispecismo e il femminismo si influenzano reciprocamente e devono essere promossi insieme per ottenere una liberazione sociale completa di tutti gli individui.
In “Carne da macello”, Carol J. Adams illustra come l’oppressione degli animali e delle donne sia radicata in una cultura che promuove l’idea che la forza e la dominazione siano valori positivi, e che la violenza contro i più deboli sia accettabile o addirittura auspicabile. In questo senso, l’antispecismo e il femminismo condividono una critica radicale alla cultura dominante e promuovono una visione alternativa basata sulla giustizia e l’empatia.

Questo significa lottare contro ogni forma di sfruttamento, incluso quello animale, e promuovere un cambiamento sistemico che sia in grado di affrontare le radici della disuguaglianza e dell’oppressione.

Di Andrea Bernardi, associato SEquS

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