LA SANTITÀ DELLO SPAZIO: POSSIBILI ISPIRAZIONI PER UNA LOTTA AMBIENTALISTA IN VENETO

Non me ne vogliano Renan Ozturk & Freddie Wilkinson se rubo il titolo del loro film “The sanctity of space”, girato sulle vette più impegnative e affascinanti dell’Alaska. Ma, per parlare della “terra”, come non riferirsi al valore filosofico, antropologico ed ecologico dello “spazio”, dopo alcuni secoli di totale immersione nell’era geologica dell’antropocene con la sua pesante impronta ecologica. Se proviamo a sostituire la parola “spazio” con la parola “terra” avvertiamo una profonda reciprocità di senso, una “reciprocità di senso” che per i nativi americani apparteneva alla “dimensione del sacro”. La “terra”, allo stato naturale, è “spazio” ed è un “valore” che la cultura economicistica ha rimosso, operando una “disconnessione” fra le azioni dell’uomo e il teatro, il terreno, il luogo di queste azioni e condizionando la percezione ecologica, culturale e sensoriale del suo valore. Poi, per allontanare l’uomo comune ancora di più dal suo legame ombelicale con la terra, una narrazione tecnocratica, produttivistica del suo valore ha deciso di chiamarla convenzionalmente “suolo”, quasi a toglierle ogni velleità sacrale ed ecologica e, così facendo, ha mercificato non solo il consumo e l’uso del suolo, ma anche la nostra concezione dello “spazio”: una dimensione che non sappiamo più fare nostra perché ha a che fare con il senso del “limite”. “Il suolo è lo strato superiore della crosta terrestre costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera (il 25% di tutta la biodiversità sta nei primi 40 cm. di suolo) ed è sede di importanti reazioni “bio-ge-chimiche che rendono possibile essenziali cicli vitali per la vita sulla terra (ciclo dell’acqua, la fotosintesi, l’impollinazione, il ciclo del carbonio), per il mantenimento di habitat necessari a tutti gli esseri viventi: persone, animali, piante.” (Paolo Pileri). Non ce ne stiamo rendendo conto di quello che sta accadendo sotto i nostri piedi, ma stiamo sprecando “suolo”, quindi “terra” e quindi “spazio”, affinché si possano svolgere vitali funzioni ecosistemiche per la vita sul pianeta. Quando, nel pieno della crisi climatica, le dimensioni del consumo di “terra” (oops!) di “suolo” sono a livelli più che preoccupanti, come lo sono in Veneto, la “lotta ambientalista” deve aggiornare modi e strumenti di lotta per raggiungere l’obiettivo dell’arresto dello spreco/consumo di “suolo” e di “spazio”, necessari per far beneficiare la comunità dei “servizi ecosistemici” più che mai indispensabili per la “vita biologica”(e spirituale).

La “lotta ambientalista” in Veneto deve essere accompagnata da una “contro-narrazione” rispetto al racconto dominante “addomesticato” e ad una “sovrainformazione” nazionale e soprattutto “locale” che agiscono come una poderosa arma di “distrazione di massa” sul pessimo stato di tutti i parametri ecologici della regione: acqua, aria, suolo.

Sul valore del “suolo” (della terra) e dello “spazio” solo una “visione olistica” può favorire una elaborazione politica efficace ed unificante e far uscire l’ambientalismo dalla frammentazione, dalla dispersione territoriale, da personalismi, da malcelati ego intellettualoidi, da un rivendicazionismo ambientale a volte settoriale o territorialmente corporativo, da un passivo pragmatismo lamentoso: tutti fenomeni funzionali alla “narrazione dominante”. Battersi con determinazione per l’arresto del consumo di suolo significa creare lo “spazio” e le “condizioni” per un miglioramento di diversi parametri ecologici. Significa creare “spazio” per piantare milioni di alberi nelle nostre città. Significa creare “spazio” per un’agricoltura dove si diversificano le colture, si attua la rotazione delle colture, si lasciano a riposo terreni per aumentarne la fertilità, si favoriscono insediamenti agricoli simili agli ecosistemi naturali aumentando la biodiversità. Significa creare “spazio” per un’agricoltura biologica senza monocolture intensive che per aumentare la resa per ettaro fanno uso massiccio di pesticidi. Significa creare “spazio” per allevamenti a terra e non intensivi, grandi consumatori di un’altra risorsa sempre più deficitaria come l’acqua. Significa creare “spazio” perché l’acqua meteorica possa infiltrarsi nel terreno ed alimentare le falde. Significa creare “spazio” per la funzione climatica del suolo: “lo stoccaggio di carbonio”.

Ci sono mille ragioni per “lottare” in Veneto per la difesa del suolo, posando uno “sguardo ribelle” sulla “narrazione dominante”. La dimensione del consumo di suolo in Veneto è scioccante, tanto quanto l’indifferenza dei cittadini e l’indolenza delle opposizioni. Per questo è necessaria una raccolta di firme per chiedere, attraverso un referendum abrogativo, l’abolizione delle 16 deroghe contenute nella legge regionale n.14 del 6 giugno 2017 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo” visto il loro “peso sostanziale” che hanno permesso il consumo di 4174 ettari dal 2017 al 2021 (dati Ispra). Il titolo di questa legge è tragicomico : “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo”.

Un referendum a difesa e per la conservazione della “risorsa delle risorse” costringerebbe cittadini distratti e amministratori pubblici, a misurarsi su decenni, visibili, di devastazioni urbanistiche, su una mole di dati statistici impressionanti e inequivocabili sulla dimensione ecologica del fenomeno veneto, su ferite insanabili al ciclo dell’acqua e del carbonio, su ferite al paesaggio, e “allo spirito dei veneti” aggiungerebbe Andrea Zanzotto, e potrebbe fare breccia nel muro dell’indifferenza e della sovrainformazione privata e privatizzata. Francamente non capisco la reticenza e il silenzio dei vertici delle maggiori associazioni ambientaliste venete all’idea del “referendum abrogativo”, sembra quasi siano entrati in “modalità partitica” e che si siano allontanati dalla “realtà” ben presente nella loro base associativa. Non è più tempo di calcoli, deve prevalere “l’ottimismo della volontà” e il lavoro della “lotta ambientalista” pacifica, non violenta, con le “mani nude” della “verità”. Magari si faranno meno convegni e conferenze sul suolo, ci saranno sui social meno piagnistei e sterili lamenti e verranno usate le competenze e la passione come armi per attuare una forma di “resistenza” verso un “pensiero unico” su un modello di sviluppo basato sul “consumo di suolo” e sul “consumo dello spazio”. Magari anche qualche ambientalista sarà costretto a leggere almeno una volta la legge, gli allegati, le determinazioni della giunta regionale, senza accontentarsi della lettura del titolo e delle sole premesse mirabolanti, espresse (con un copia e incolla) con terminologia in “modalità greenwashing”, stravolte di 360 gradi agli articoli 4, 11, 12, 13 della medesima legge. La “sovranità popolare” non si esaurisce con il voto nella cabina elettorale: i partigiani dell’ambiente e del suolo devono far crescere un dibattito fra la gente, alzare il livello delle analisi di quello che sta accadendo all’ambiente veneto.

Schiavon Dante

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