La tecnologia potrebbe aiutarci a raffreddare senza l’uso di elettricità
Con l’aumento delle temperature dato dal cambiamento climatico, l’uso dei condizionatori si intensificherà sempre di più surriscaldando ulteriormente il pianeta. E se ci fosse un modo di raffreddare senza produrre calore?
daTim Folger
pubblicato 23-06-2023
(Avvertenza: nessuna tecnologia potrà mai risoolvere da sola i problemi ecologici ormai fuori controllo, se non accompagnata da un cambio di passo in quanto a stili di vita, parsimonia, riduzione degli sprechi, dei consumi, dei rifiuti e dell’abbandono del modo di produzione industriale)

Presso la Columbia University, un pannello rivestito di un nuovo polimero irradia il calore nello spazio, attraversando l’atmosfera, creando un effetto di raffreddamento. Pannelli come questo potrebbero ridurre la necessità di condizionamento dell’aria.
FOTOGRAFIA DI Jyotirmoy Mandal
Quando si trasferì a Phoenix, in Arizona, Rebecca Sunenshine rimase scioccata nel leggere la prima bolletta dell’energia elettrica.
“Chiamai il fornitore e dissi: ‘Ci dev’essere un errore’, perché l’importo sulla bolletta era sui 400 o 500 dollari” (340-420 €) racconta Sunenshine, direttore medico del reparto Controllo delle malattie del Dipartimento della salute della Contea di Maricopa. “Mi risposero: ‘Si è appena trasferita?’”.
Il fornitore dell’energia elettrica non si era sbagliato. La climatizzazione rappresenta circa un quarto dell’energia elettrica che gli abitanti dell’Arizona consumano, quota che corrisponde a quattro volte la media nazionale. E non è un lusso: senza climatizzazione, il caldo estivo a Phoenix può essere fatale. Nel 2020, la Contea di Maricopa ha registrato l’infausto record di 323 decessi dovuti alla calura. “È stato uno dei numeri più alti degli ultimi anni”, afferma Sunenshine. E i dati del 2021 sono andati ancora oltre.
Le temperature estreme non sono state limitate al sudovest del Paese: giugno del 2021 è stato il mese più caldo mai registrato, fino a quel momento, in America del Nord. All’inizio di luglio di quell’anno un’ondata di caldo senza precedenti ha fatto oltre 200 vittime in Oregon e nello Stato di Washington e, secondo una stima, 600 persone o più sono morte a causa del forte caldo nella Columbia Britannica.
L’uso della climatizzazione aumenterà di pari passo al continuo aumento delle temperature globali. Entro 20 anni si valuta che l’elettricità necessaria per alimentare i condizionatori di tutto il mondo triplicherà. I combustibili fossili che vengono bruciati a questo scopo aggiungono nell’atmosfera già circa 117 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, nei soli Stati Uniti. Gli stessi dispositivi che ci tengono al fresco contribuiscono contemporaneamente a surriscaldare ulteriormente il pianeta.

Gli inquilini di un condominio si rinfrescano nella piscina comune a Phoenix, il 17 giugno 2021. Phoenix ha affrontato una doppia crisi, climatica e degli alloggi, che colpisce più duramente coloro che subiscono di più gli effetti del sole.
FOTOGRAFIA DIJUAN ARREDONDO, THE NEW YORK TIMES/REDUX
A parte l’impronta di carbonio, i condizionatori hanno un impatto più diretto sull’ambiente circostante, come spiega Aaswath Raman, professore di ingegneria presso l’Università della California a Los Angeles. “Pensiamo a come funziona un condizionatore: pompa aria calda nell’ambiente; quindi ogni singolo impianto di condizionamento mentre rinfresca i nostri ambienti contribuisce ad aumentare la temperatura ambientale”.
Trovare un’alternativa ecologica alla climatizzazione tradizionale è stato l’obiettivo del lavoro di Raman per circa un decennio. Egli è in prima linea in una piccola comunità di ricercatori che hanno sviluppato una serie di materiali tra cui vernici, pellicole e tipi di legno, tutti con la stessa peculiarità: usando le lunghezze d’onda della luce, sono in grado di raffreddare l’aria circostante senza bisogno di alcun tipo di alimentazione esterna, raggiungendo in alcuni casi differenze di 5 gradi centigradi e più. Questi nuovi materiali potrebbero aiutare a mitigare alcuni degli effetti della crisi climatica, specialmente nelle città, dove il cosiddetto “effetto isola di calore” può far aumentare le temperature di oltre 10 °C.
“I quartieri che subiscono maggiormente l’effetto isola di calore sono generalmente i sobborghi e le periferie popolari”, afferma Raman, “quindi è una questione di equità”.
Un sistema di raffreddamento ecologico
Raman è generalmente riconosciuto come il fondatore di questo campo di ricerca. L’idea che ci potrebbero essere modi migliori di produrre un effetto rinfrescante gli venne nel 2012, quando stava finendo il suo dottorato presso l’Università di Stanford. Scavando tra vecchi articoli scientifici fu colpito da un concetto sul quale alcuni scienziati avevano elaborato delle ipotesi qualche decennio prima, ma che fu poi subito abbandonato in quanto infattibile.
L’idea era quella di sfruttare un fenomeno naturale, conosciuto come raffreddamento radiativo, per abbassare la temperatura degli oggetti. Raffreddamento radiativo è un termine usato in fisica per definire un processo che avviene intorno a tutti noi: tutto ciò che viene riscaldato da una qualche fonte di calore poi si raffredda all’interruzione della fonte di calore. L’esempio più lampante sta proprio sotto i nostri piedi: la Terra stessa, che si riscalda durante il giorno e si raffredda dopo il tramonto, disperdendo il calore nel cosmo.
Alcuni ricercatori si erano chiesti se esistesse il modo di “giocare” coi materiali in modo da indurre l’irradiazione del calore anche in pieno giorno, ma lo sforzo sembrava futile: al calare del sole, gli oggetti non diventano più freddi della temperatura dell’ambiente. “Abbiamo trovato riferimenti in cui si afferma che è impossibile fare una cosa del genere durante il giorno”, racconta Raman.
Per un giovane studente fresco di dottorato un progetto impossibile rappresenta due possibilità: infilarsi in un vicolo cieco proprio all’inizio della carriera oppure scoprire qualcosa che altri non erano riusciti a cogliere.
“È molto difficile trovare aree di studio a cui nessuno si sta dedicando”, afferma Raman, “e normalmente c’è un motivo per cui alcuni argomenti sono stati tralasciati: perché non portano a nulla”.
Raman si era specializzato nel campo dell’ottica fisica, studiando come la luce di diverse lunghezze d’onda interagisce con i vari materiali. Aveva a disposizione strumenti e tecnologie che mancavano ai ricercatori che avevano abbandonato lo studio del raffreddamento radiativo anni prima. Così nel 2012 presentò una proposta all’Advanced Research Projects Agency-Energy, o ARPA-E, un’agenzia governativa appartenente al Dipartimento dell’energia.
“Ogni tre anni indicono questo bando di finanziamento aperto per il quale si possono presentare le idee più originali”, racconta Raman. “Credo che alla fine venga sovvenzionato solo l’un percento delle proposte. Avevo sentito che Steve Chu, l’allora segretario per l’energia, aveva detto che l’idea non gli sembrava plausibile”. Ciononostante, l’agenzia concedette a Raman 400.000 dollari (circa 340.000 euro) e un anno di tempo per sviluppare un materiale che si mantenesse fresco anche nelle giornate più calde. “Probabilmente è stato uno dei finanziamenti più bassi che abbiano mai concesso”, afferma.
Lunghezze d’onda speciali
Raman coinvolse Shanhui Fan, il suo mentore a Stanford, e progettarono la realizzazione di una pellicola sottile ma multistrato che sfruttasse il modo in cui l’atmosfera della Terra consente al calore di disperdersi nello spazio. Tutta l’energia solare assorbita dalla superficie terrestre viene costantemente riemessa come radiazione infrarossa, una forma di luce con una lunghezza d’onda maggiore rispetto alla luce visibile. Una parte di quella radiazione infrarossa viene assorbita da vapore acqueo, anidride carbonica e altri gas serra, riscaldando l’atmosfera. Questo è il processo che ha mantenuto il clima terrestre relativamente stabile e vivibile finché l’uomo ha iniziato a bruciare combustibili fossili e sovraccaricare l’atmosfera di miliardi di tonnellate di anidride carbonica.
Non tutte le radiazioni infrarosse, tuttavia, vengono assorbite dall’atmosfera, alcune si disperdono nello spazio. L’atmosfera terrestre, si è scoperto, è trasparente a certe lunghezze d’onda di luce infrarossa, nello specifico a quelle comprese tra 8 e 13 micrometri. Immaginate l’atmosfera come una coperta che ha alcuni buchi: Raman e Fan hanno ipotizzato che ingegnerizzando la loro pellicola in modo che emettesse una radiazione infrarossa all’interno del citato intervallo, la radiazione avrebbe attraversato l’atmosfera passando dai “fori” e si sarebbe dispersa nello spazio; la pellicola si sarebbe quindi naturalmente raffreddata, scendendo al di sotto della temperatura ambiente, anche durante il giorno.
Questo oggetto consiste in strati alternati di silice, vetro e biossido di afnio, un composto usato nel settore dell’ottica per rivestire lenti e specchi. Regolando lo spessore dei singoli strati, Raman e Fan hanno creato una pellicola estremamente riflettente per la luce visibile — e che quindi non si riscalda al sole — che è anche un eccellente emettitore di radiazione infrarossa proprio alle giuste lunghezze d’onda che attraversano l’atmosfera senza restarne intrappolate. Se si usasse la pellicola per ricoprire, diciamo, il tetto di un’automobile, questa condurrebbe il calore lontano dal tettuccio stesso raffreddandolo senza il bisogno di usare energia elettrica.

Un’installazione di pannelli SkyCool.
FOTOGRAFIA DISkyCool Systems, Inc.
Raman e Fan ebbero la conferma che il loro esperimento funzionava dopo sei-sette mesi sul tetto di un edificio del campus di Stanford con un campione della loro pellicola esposto al sole (i tetti degli edifici possono diventare roventi in estate raggiungendo temperature anche di 60 °C). Hanno provato a fare un semplice test: hanno ombreggiato la pellicola. Normalmente, quando qualcosa viene messo all’ombra, si raffredda. Ma la pellicola è diventata più calda, perché la radiazione infrarossa non riusciva più a dissiparsi attraverso l’atmosfera, trovando lo scudo del materiale ombreggiante e riscaldandolo, cosa che a sua volta riscaldava l’aria circostante.
“Sembra un controsenso ma è perfettamente logico”, afferma Raman. “All’ombra il materiale è più caldo perché non può oltrepassare l’atmosfera e raggiungere lo spazio”; rimessa al sole, la pellicola si è notevolmente raffreddata, scendendo di circa 5 °C al di sotto della temperatura dell’aria.
Dopo quel primo successo, Raman, Fan e il loro collega di Stanford Eli Goldstein hanno fondato un’azienda chiamata SkyCool e hanno collaborato con 3M per ottimizzare e commercializzare quella tecnologia. Nell’estate del 2020, la società ha installato pannelli rivestiti della speciale pellicola sul tetto di un supermercato in California. L’acqua che scorre nei pannelli viene raffreddata dalla pellicola e poi pompata nei condizionatori e frigoriferi dell’edificio, raffreddando i relativi componenti e abbassando il consumo di energia usata per alimentarli. “L’uso della pellicola ha consentito un risparmio del 15-20% circa nel consumo di energia”, afferma Raman.
Una questione di durabilità
Da quando Raman e Fan hanno pubblicato i risultati del loro esperimento sul tetto nel 2014, una decina di gruppi di ricercatori hanno ideato vernici, gel e addirittura blocchi di legno in grado di rimanere freschi anche in pieno giorno. Molti dei materiali sono ancora troppo nuovi tanto che la loro durata è ancora un punto di domanda, specialmente considerando i posti in cui la maggior parte di questi verrebbe usata: sui tetti, esposti agli elementi e allo sporco che inibirebbero la radiazione infrarossa.
“Abbiamo testato alcuni dei materiali”, afferma Tim Hebrink, scienziato di 3M “e abbiamo rilevato che possono sporcarsi e degradarsi rapidamente”. La pellicola di Raman e Fan sembra invece più semplice da manutenere e pulire rispetto a uno strato di vernice bianca, e la tecnologia può essere declinata nelle varie applicazioni. “Possiamo produrre la pellicola in rotoli lunghi 1,5 km e larghi 1-2 metri”, afferma Hebrink.
La pellicola è utilizzata come supplemento alle tradizionali tecnologie di raffreddamento, come è avvenuto nel supermercato della California. Paradossalmente, la maggior parte degli edifici sono così ben isolati che il calore interno non riesce a passare all’esterno fino a raggiungere la pellicola per poi essere irradiato all’esterno dell’atmosfera. Questa potrebbe aiutare a raffreddare altri tipi di strutture. La città di Tempe, in Arizona, ha testato sul campo la pellicola 3M sui tetti di alcune pensiline delle fermate dell’autobus. Alcuni risultati hanno mostrato che i tetti arrivano a temperature di 16 °C inferiori rispetto all’aria circostante.

Una pellicola radiativa sviluppata da 3M in fase di test sui tetti delle pensiline bus di Tempe.
FOTOGRAFIA DI3M
Inoltre, questa tecnologia potrebbe aiutare a ridurre i decessi causati dalla calura. Raman è coinvolto in un progetto UCLA chiamato Heat Resistant Los Angeles (Los Angeles resistente al caldo). “L’idea è: possiamo andare oltre l’ombreggiatura?”, spiega. Da sempre, le città puntano sull’ombra degli alberi, sui parchi e le cinture verdi per raffrescare gli ambienti urbani ma questi progetti spesso lasciano fuori le comunità a basso reddito e inoltre la loro attuazione richiede anni. Raman vuole usare delle coperture rivestite con la sua speciale pellicola per raffreddare grandi spazi esterni: una soluzione che richiede tempi brevi e costi contenuti.
Raffreddare il pianeta?
Almeno uno degli scienziati immagina una possibilità ancora più ambiziosa: erigere grandi strutture di pannelli rivestiti di una pellicola simile a quella di Raman e Fan per raffreddare l’intero pianeta e forse rallentare o invertire la rotta del riscaldamento globale. Jeremy Munday, ingegnere elettronico presso l’Università della California a Davis, stima che la copertura dell’1-2% della superficie terrestre con questi pannelli compenserebbe il riscaldamento causato dai gas serra. L’area necessaria corrisponderebbe a un po’ più della metà del deserto del Sahara.
Come afferma Munday, la sua stima grossolana dei costi è di 2.500 miliardi di dollari (2.100 miliardi di euro), ovvero circa il 10% del prodotto interno lordo degli Stati Uniti, una cifra che, se considerata nel contesto degli effetti catastrofici della crisi climatica, sarebbero soldi ben spesi.
“Bisogna pensare a soluzioni originali e innovative”, continua Munday, “è un cliché, lo so, ma seguiamo sempre la stessa strada da anni, e penso che a volte sia necessario cambiare completamente rotta”.
È un’idea allettante: la soluzione a una crisi che affligge tutte le nazioni della Terra. Ma è concretamente realizzabile? “Il raffreddamento radiativo può fornire un valido aiuto per l’effetto isola di calore, ma penso sia molto, molto improbabile che abbia un effetto significativo per il raffreddamento globale”, afferma Mark Lawrence, scienziato del clima presso l’Institute for Advanced Sustainability Studies (Istituto per gli studi di sostenibilità avanzata, NdT) di Potsdam, in Germania.
Un progetto su larga scala del tipo immaginato da Munday, continua, richiederebbe decenni per essere realizzato, e arriverebbe decisamente troppo tardi per aiutarci a evitare gli effetti più catastrofici del cambiamento climatico. Inoltre, afferma Lawrence, un raffreddamento artificiale di tale entità potrebbe sconvolgere gli schemi delle precipitazioni globali, dato che le piogge e la circolazione atmosferica sono determinate dalle differenze di temperatura tra la terra e il mare. Alcuni modelli climatici, ad esempio, mostrano che gli schemi di raffreddamento artificiale potrebbero indebolire le piogge monsoniche, fondamentali per India e Africa.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che tra il 1998 e il 2017 le ondate di calore abbiano ucciso almeno 166.000 persone in tutto il mondo. Se continueremo a emettere gas serra ai ritmi attuali, livelli letali di calore metteranno a rischio la vita di oltre un miliardo di persone entro la fine del secolo.
Questa tecnologia, infine, potrebbe aiutarci a raffreddare le nostre città e potrebbe evitare decine o centinaia di migliaia di morti a causa delle brutali ondate di calore previste per il prossimo futuro che non saranno cosa da poco. Ma per abbassare la temperatura del mondo intero, sono decenni che sappiamo cosa si deve fare: lasciare i carburanti fossili nel suolo.