L’antropocentrismo può annientare la specie umana

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Pubblichiamo il quinto capitolo delle riflessioni di Maurizio Pallante sulla pandemia.

di Maurizio Pallante

5. L’antropocentrismo può annientare la specie umana.

Gli allevamenti industriali sono una realizzazione tecnologica molto avanzata della concezione del mondo antropocentrica che si è sviluppata in Europa nel diciassettesimo secolo e ha avuto i suoi massimi interpreti in due filosofi: l’inglese Francis Bacon e il francese René Descartes. Francis Bacon ha sostenuto la necessità di spostare l’asse del sapere dalla filosofia alla scienza perché la conoscenza scientifica non è sterile e consente alla specie umana di accrescere il suo potere nei confronti della natura. Cartesio ha sostenuto che la specie umana è ontologicamente diversa da tutte le altre specie viventi, perché, a differenza delle altre non è formata da individui che hanno soltanto il corpo, la res exensa, ma hanno anche la facoltà di pensare, la res cogitans, insita nella ghiandola pineale.

Mentre tutte le altre specie costituiscono la natura, la specie umana non ne fa parte, ma vi è inserita. Vive e agisce nella natura utilizzandone le risorse, prendendo cioè dalle altre specie viventi tutto ciò di cui ha bisogno per soddisfare le sue esigenze. Soddisfare le esigenze della specie umana è la funzione per cui sono state create le altre specie viventi.

La specie umana ha quindi il diritto di servirsene senza limiti né scrupoli, anche perché gli animali, essendo privi della res cogitans, non hanno nemmeno sentimenti. Non provano gioia né paura, non sentono dolore. Sono machinae animatae.

Fa impressione rileggere oggi il discorso che papa Pio XII tenne ai lavoratori del mattatoio di Roma il 17 novembre 1957:

[…] errerebbe però chi stimasse riprovevole l’uccisione degli animali necessari per il nutrimento degli uomini. La vostra opera, diletti figli, è dunque giusta e – a certe condizioni – meritoria. Tutto infatti è stato creato da Dio: gli uomini, gli animali, le piante, le cose; e per conseguenza tutto a servizio di Lui deve essere usato.
[…]
Ma l’uomo, per servirsi degli animali, deve spesso – purtroppo – farli soffrire, deve spesso ucciderli; nulla è dunque per sé di riprovevole in questo. Certamente dovranno essere ridotte al minimo le sofferenze, interdette le inutili crudeltà (abbiamo letto, per es., che nel mattatoio si ha particolare cura che il bestiame vivo non si incontri con coloro che trasportano le carni), ma non vi è nemmeno posto per ingiustificati rammarichi. I gemiti delle bestie abbattute e uccise per giusto motivo non dovrebbero destare una tristezza maggiore del ragionevole, mentre non ne procurano i colpi del maglio sui metalli roventi, il marcire dei semi sotterra, il gemere dei rami al taglio della potatura, il cedere delle spighe all’azione dei mietitori, il frumento che viene stritolato nella macina da mulino.

Questa concezione filosofica non è soltanto inaccettabile eticamente, perché gli animali sono esseri senzienti, come sa chiunque abbia un po’ di dimestichezza con loro, ma anche insostenibile scientificamente per ragioni che sono state messe in luce dall’ecologia, la scienza fondata nella seconda metà dell’Ottocento dal medico e biologo tedesco Ernst Haeckel, con l’obbiettivo di studiare le relazioni d’interdipendenza reciproca delle specie viventi tra loro e con i fattori abiotici dei luoghi in cui vivono.

Se gli esseri umani modificano l’equilibrio tra questi legami pensando di ricavarne un beneficio, se per esempio cacciano da un ecosistema una specie animale o vi introducono una specie estranea, se abbattono o piantano un bosco, se deviano il corso di un fiume, si mette in moto una catena di reazioni che modificano altri rapporti d’interdipendenza tra le specie viventi e i fattori abiotici dei luoghi in cui vivono, da cui possono derivare conseguenze negative per la specie umana che li ha innescati.

Per esempio, reintroducendo il lupo in un ecosistema da cui era stato cacciato si riduce il numero degli erbivori selvatici, la vegetazione aumenta, il bosco si espande, cresce il numero degli uccelli, aumentano le piogge e ne trae beneficio l’agricoltura, aumenta e si regolarizza la portata dei corsi d’acqua, le radici degli alberi ne consolidano le rive, aumenta il numero dei pesci eccetera. Non solo la biodiversità si arricchisce, ma cambia anche il clima.

Quando invece una popolazione umana caccia il lupo per difendere i suoi allevamenti di erbivori, il numero degli erbivori selvatici aumenta, il bosco si ritira, la biodiversità si riduce, il clima diventa più arido e l’ecosistema s’impoverisce, impoverendo le risorse disponibili per quella popolazione. Il male che la specie umana fa alle altre specie viventi e alla terra pensando di ricavarne utilità, può ripercuotersi contro se stessa, anche se non direttamente, ma attraverso una catena di passaggi intermedi. (1)

Questo dimostrano l’attuale pandemia e le pandemie che l’hanno preceduta negli ultimi cento anni, dalla spagnola a oggi.
Più grandi sono gli allevamenti industriali in cui gli animali vengono trattati come macchine, maggiore è il rischio che vengano infettati da virus che possono propagarsi agli esseri umani, stravolgendo le loro vite e l’organizzazione delle società in cui vivono.

Sebbene questo pericolo sia conosciuto per esperienza vissuta e per deduzione scientifica, non viene preso in considerazione, perché gli allevamenti industriali sono una fonte di reddito e di profitto notevolissimi. Non solo per gli allevatori, ma per tutto l’indotto che attivano, dalla costruzione degli edifici e degli impianti alla logistica, alla commercializzazione, agli investimenti finanziari. Nelle società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione di merci, il reddito e il profitto sono considerati più importanti della salute umana. Chi non rispetta la vita degli animali non rispetta nemmeno la vita degli esseri umani. Questo modello economico e produttivo non è soltanto inaccettabile eticamente. È anche destinato a cozzare contro limiti che lo rendono economicamente dannoso, trasformandolo da macchina per produrre continuamente redditi e profitti in macchina che li distrugge. Si calcola che il blocco delle attività economiche e produttive deciso per contenere la diffusione della pandemia causata dalla Sars-Cov-2, comporterà nel 2020 una riduzione del prodotto interno lordo del 3 per cento a livello mondiale e del 9 per cento in Italia.

L’unico leader mondiale che ha denunciato sia l’inaccettabilità etica delle sofferenze inflitte agli animali quando vengono utilizzati come oggetti di profitto, sia i danni ambientali che ne derivano, è stato Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ (un secondo riferimento a Francesco d’Assisi, dopo la scelta del suo nome come Pontefice), con parole che non avrebbero potuto essere più diverse da quelle pronunciate dal suo predecessore Pio XII.

«Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in se stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi della Germania hanno spiegato che per le altre creature “si potrebbe parlare di priorità dell’essere sull’essere utili”». (n. 89).
«Sarebbe […] sbagliato pensare che gli altri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società. La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense diseguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte dell’umanità, perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato, o di quello che ha più potere: il vincitore prende tutto. (n. 82)

L’antropocentrismo non comporta soltanto la subordinazione degli altri esseri viventi al dominio della specie umana, ma proponendo una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse ha rinforzato l’arbitrio del più forte e favorito immense diseguaglianze, ingiustizie e violenze contro la maggior parte dell’umanità.

I movimenti animalisti hanno svolto un ruolo fondamentale nella tutela dei viventi non umani, ma la tutela dei viventi non umani non può ottenere risultati decisivi se non si persegue anche la riduzione delle diseguaglianze, delle ingiustizie e delle violenze nei confronti delle fasce più deboli degli esseri umani. Parallelamente, l’impegno per ridurre le diseguaglianze, le ingiustizie e le violenze nei confronti delle fasce più deboli degli esseri umani non può essere scisso dall’impegno per la tutela dei viventi non umani.

Per ottenere risultati decisivi su entrambi i fronti occorre un cambiamento del sistema dei valori, perché la violenza sugli animali e sugli esseri umani sono due aspetti di una stessa concezione dei rapporti con l’altro da sé fondata sulla prevaricazione del più debole da parte del più forte.

Non si può perseguire una maggiore giustizia sociale tra gli esseri umani aumentando lo sfruttamento delle risorse naturali e l’ingiustizia nei confronti degli animali. Il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli poveri non si può realizzare estendendo ad essi il modello di vita dei popoli ricchi, perché già da anni le risorse consumate dai popoli ricchi, le varie forme d’inquinamento generate dalla trasformazione delle risorse in beni, dall’uso di molti beni, dai rifiuti in cui i beni si trasformano al termine della loro vita utile, hanno superato i limiti della sostenibilità ambientale e minacciano la sopravvivenza stessa alla specie umana.

Se non si abbandona la convinzione che il fine dell’economia sia la crescita della produzione di merci, che le anime belle e i furbastri chiamano sviluppo cercando di convincersi e convincere che possa anche essere sostenibile, non si cancellerà dalla mente degli esseri umani l’idea che la sopraffazione dei forti sui deboli sia la regola su cui si fondano le relazioni tra loro e tra la loro specie e le altre specie viventi.

 

 Photo by Iva Rajović on Unsplash

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NOTE:
  1. Cfr. George Monbiot, TedGlobal 2013, Per meravigliarsi di più, ri-diamo la natura al mondo, https://www.ted.com/talks/george_monbiot_for_more_wonder_rewild_the_world/transcript?language=it#t-581432[]

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Una risposta

  1. PIER FRANCESCO DAMIANI ha detto:

    GRAZIE

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