lasciamo crescere gli alberi nei nostri boschi



L’accaparramento di legna portato avanti in modo “industriale” e “iperproduttivo” è un’attività climalterante che passa sotto traccia nei nostri pensieri. Un po’, perché nei pensieri della maggior parte di noi prevale il luogo comune, con una oggettiva fondatezza scientifica, che gli alberi e le foreste siano una “risorsa rinnovabile”: gli alberi ricrescono. Un po’ perché, per il prelievo di legna per riscaldare le loro abitazioni da parte degli abitanti delle zone di montagna e di collina ricche di boschi, prevale nei nostri pensieri un’immagine virtuosa che ben rappresenta il concetto di “risorsa rinnovabile”, poiché fino a qualche anno fa il taglio boschivo si realizzava attraverso un prelievo selettivo, regolato e controllato da quel “Corpo Forestale dello Stato”, emanazione del Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, sciaguratamente abolito, i cui compiti sono passati, non si sa con quale logica, sotto il Ministero della Difesa. Ma nei pensieri degli avidi predatori di risorse naturali il concetto di “risorsa rinnovabile” è diventato una “modalità green” per fare soldi nel bel mezzo di una crisi climatica planetaria. Tali predatori di risorse naturali hanno poi ricevuto l’aiuto interessato della politica, incopetente e subalterna all’idolatria del PIL, accomunati dall’idea assai folle che gli alberi siano una risorsa inesauribile a prescindere dalle loro “caratteristiche selvicolturali” (l’età dei boschi, l’apporto degli alberi vecchi in termini di biodiversità e nell’assorbimento della CO2, la presenza diffusa di boschi fragili, poveri, monocolturali, coetanei, ecc.) e dalle “modalità di taglio” (il taglio a raso e meccanizzato o selettivo, la resa in termini di metri cubi per ettaro, ecc). Alla prima mazzata per i boschi di proprietà pubblica (il demanio), quella del 1970, quando le “competenze in materia forestale” sono passate dallo Stato alle Regioni in nome dell’Autonomia, è seguita quella con l’entrata di vigore della legge nr. 34 del 3 marzo 2018 “Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali” che, forte dell’aumento delle superfici a bosco avvenuto negli ultimi trent’anni, all’approccio “selvicolturale naturalistico” ha sostituito un “approccio produttivistico”.

Il risultato è sotto gli occhi di chi frequenta i nostri boschi e non li conosce solo tramite internet, testimoniato dalle innumerevoli cataste di tronchi di alberi tagliati disseminate lungo le strade e in tutto l’arco alpino, prealpino e appenninico. Ma la realtà è un’altra ed è legittimo coltivare dei dubbi sul saldo positivo delle nostre risorse forestali. Infatti, secondo un rapporto di Mountain Wilderness, dell’aumento delle superfici a bosco resta ben poco se dall’incremento della superficie forestale di 560.000 ettari (inventario forestale 2015) togliamo 160.000 ettari di boschi bruciati nel 2020, i 150.000 ettari bruciati ad agosto di quest’anno, i 50.000 ettari devastati da Vaia e le centinaia di migliaia di ettari della devastazione in corso per la presenza “post Vaia” del “bostrico” che dopo una “schiantata” è in grado di infestare fino al 500% della superficie colpita. Il fenomeno delle “schiantate” per effetto dei cambiamenti climatici, come è stato con Vaia, sarà, purtroppo, un fenomeno ordinario e uno studio della Fondazione Edmund Mach del Trentino rivela come in Europa, mentre dal 1958 al 2001 si aveva una media di schiantate di 2,9 milioni di mc/anno, in soli 3 anni, 2019-2021, si sono avuti una media di schiantate per 200 milioni di mc/anno. Inoltre, secondo il Gruppo Unitario Foreste Italiane le utilizzazioni forestali (tagli boschivi) dal 2004 al 2018 sono aumentate del 70%. Poi c’è la pratica diffusa dei tagli abusivi e dei tagli di piccole superfici dove basta una semplice “dichiarazione di taglio” che naturalmente avviene senza alcuna verifica della conformità e osservanza delle eventuali prescrizioni. Poi è intervenuta una guerra folle che ha ingenerato una nuova emergenza, quella “energetica”. Ma gli avidi predatori di risorse naturali si erano già infilati nel business green delle “energie rinnovabili” creando un paradosso inaccettabile: produrre energia bruciando gli organismi che possono assorbire la CO2. Il risultato lo scopriamo nel rapporto della Corte dei Conti dell’Unione Europea che analizza i finanziamenti dell’Ue per la lotta ai cambiamenti climatici nelle foreste dei 27 paesi: “tra il 2013 e il 2018 c’è stato un calo di valori dell’assorbimento del carbonio del 28% dovuto all’aumento dei tassi di raccolta dei legname”.

Tutto questo degrado economico, morale ed ecologico sulle modalità per affrontare la questione energetica e le cause e gli effetti dei cambiamenti climatici si sta compiendo disattendendo l’ultimo rapporto dell’IPCC che indicava, come modalità per fermare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, l’obiettivo di triplicare entro il 2050 le foreste europee. La deforestazione non è solo in Amazzonia: è qui nei nostri boschi. Una riflessione a parte merita la deforestazione nei nostri centri abitati, quella che avviene lungo gli argini dei fiumi o lungo le strade con conseguenze gravi anche sulla salute delle persone ed è un’altro capitolo della deforestazione in corso in tutto il bel paese.

Schiavon Dante, associato SEquS

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