“Lavoro da morire”

“Lavoro da morire”

di Roberto Canola – Consulente per la Sicurezza sul Lavoro

La sicurezza nei luoghi di lavoro non è solo un fatto tecnico o legislativo né si può attribuire la responsabilità di un infortunio sul lavoro meramente ad un fatto comportamentale o come spesso accade ad un errore umano.

Lo studio delle cause determinanti e modulanti un infortunio sul lavoro, le analisi statistiche per comprenderne gli andamenti nel tempo ed il contesto ambientale in cui si sviluppano gli eventi infortunistici, l’approccio ingegneristico con cui si affrontano le misure di prevenzione e protezione che, se ben applicate, riducono la frequenza e la gravità degli accadimenti, una normativa tecnicamente all’avanguardia sul fronte della prevenzione dei rischi da soli non sono sufficienti a debellare definitivamente la piaga degli  infortuni e delle morti bianche. 

Dopo ogni tragico evento si alzano da ogni parte grida di protesta e invocazioni che chiedono una maggiore attenzione nei riguardi della sicurezza sul lavoro, una maggiore formazione dei lavoratori, una ulteriore stretta normativa, maggiori obblighi e sanzioni ancora più severe.

Nel corso degli anni tra il 1970 e il 1990 il numero di infortuni oscillava tra un 1 milione e 600 e 1 milione di denunce mentre il numero degli infortuni mortali era compreso tra i 3600 e 2500. Negli anni peggiori si contavano 10 infortuni mortali ogni giorno.

Le condizioni di lavoro non sono paragonabili a quelle odierne e la normativa, già dal titolo norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, evocava l’ineluttabilità dell’evento infortunistico come qualcosa di correlato al lavoro, quasi imprescindibile conseguenza di un mestiere o di una professione.

Quell’impianto ha comunque retto fino a metà degli anni 90 ed è stato soppiantato solo nel 1994 dal recepimento di normative europee con un nuovo approccio, la logica della previsione e prevenzione del rischio.

La  normativa vigente, primo tra tutti il decreto legislativo  81 del 09 aprile 2008, che in quanto Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro si applica a quasi tutti i settori lavorativi, annovera principi fondamentali e obblighi specifici tra cui  la riduzione dei rischi alla fonte, l’individuazione dei fattori di rischio, la valutazione dei rischi e l’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro oltre all’obbligo di costante vigilanza che il datore di lavoro e l’organizzazione devono mettere in atto per assicurarne il costante rispetto.

Se si osserva nel lungo periodo, ultimi vent’anni, la tendenza è quella di un fenomeno in progressiva diminuzione, ma a tutt’oggi ogni giorno almeno 3 persone muoiono di lavoro. Questo dato è ancor più preoccupante perché mentre si osserva una diminuzione infortunistica generale, che si è dimezzata nel corso del periodo, il decremento degli infortuni mortali è stato meno di un terzo con delle risalite in corrispondenza dei periodi di ripresa dopo eventi globali come la crisi del 2008 e la pandemia (1)  

Altro dato che caratterizza il fenomeno è costituito dall’età delle persone decedute sui luoghi di lavoro. Analizzando la mortalità per fasce d’età emerge che ad essere a maggior rischio sono gli over 65, con un’incidenza di mortalità sempre – o quasi – superiore a quattro volte rispetto alla media nazionale; nell’ultimo periodo di quest’anno sono morte tre persone con più di 70 anni che lavoravano in nero all’interno di cantieri edili.

Invece, per quanto concerne gli infortuni sono i giovanissimi ad avere la peggio, con un’incidenza tripla rispetto alla media del Paese.

Il numero di giovani e giovanissimi che muoiono sul lavoro è un ulteriore segnale che la condizione sociale e contrattuale è da annoverare tra le cause che costituiscono le premesse di una condizione lavorativa a elevato rischio di infortunio, soprattutto se l’esposizione al rischio non ha dei contrappesi come l’esperienza, la formazione, la protezione collettiva e individuale difficilmente realizzabili quando il luogo di lavoro è la strada e l’attrezzatura di lavoro è una bici.  

Inoltre il contesto lavorativo, fortemente competitivo, quello organizzativo, la gestione dei tempi di lavoro – determinata e imposta nelle nuove professioni da algoritmi avulsi dal contesto in cui si opera – la condizione contrattuale dei lavoratori, autonoma o a scadenza, sono fattori condizionanti al punto da diventare concause determinanti la probabilità di accadimento di un incidente.

Tristemente divenuto famoso, il caso del rider che venne licenziato, mediante un messaggio automatico per la mancata consegna della merce, dopo la morte avvenuta per incidente stradale durante una consegna, è solo la parte evidente dell’organizzazione che rende questi lavoratori i nuovi schiavi di sistemi non umani.

Ken Loach con il suo film “Sorry We Missed You” (2019) disegna un ritratto di emergenza sociale che ha il suo fulcro nella condizione precaria del lavoro. 

Natalia Aspesi, su Repubblica (2), si concentra sul messaggio lanciato da Loach, che denuncerebbe con il film la proletarizzazione di ogni mestiere nella società odierna: “Loach si chiede, e obbliga a chiederci mentre soddisfatti con un clic ordiniamo pranzi e vestiti e frigoriferi e cibo per gatti che arriveranno puntuali, se questo sistema sia sostenibile e sino a che punto si espanderà. Non solo quello del digitale ma della proletarizzazione di qualsiasi mestiere. Come influirà non solo sulle persone sempre più arrabbiate e sulle loro famiglie sempre più inquiete, ma anche sulla società, sulla politica, sui governi. Perché la sinistra ha abbandonato i lavoratori e i lavoratori la sinistra?

La mancata sicurezza sul lavoro è dunque un fatto politico che – al netto di una normativa all’avanguardia ancorché scarsamente applicata soprattutto dal punto di vista del controllo, che si dovrebbe esercitare in modo più efficace per comparto e territorio – condiziona al punto da essere il presupposto determinante l’evento incidentale.

Hanno contribuito alla precarizzazione del lavoro, alla sua mercificazione e all’introduzione di nuovi ricatti sociali, l’introduzione dei contratti atipici introdotta con le riforma Biagi, la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che rappresentava il cardine della disciplina limitativa dei licenziamenti, la riforma del lavoro introdotta con il Jobs Act, che di fatto ha eliminato le tutele conservative del posto di lavoro a beneficio di una maggiore flessibilità in uscita.

Il combinato disposto con il ricorso facilitato ad assumere con contratti a tempo determinato o acquistando forza lavoro da imprese interinali completano il quadro di instabilità che è alla base di un concetto di lavoro che deve essere ad alta efficienza e con un indice di contrattazione sui diritti fondamentali tendente allo zero.

La sicurezza sul lavoro rientra tra quei diritti che sono stati fortemente depotenziati per effetto della compressione e dell’azione combinata tra le forze della produttività e della economia, che hanno preso il sopravvento, la complicità della politica ed in parte anche delle forze sociali.

Al netto di tutte le considerazioni, dietro le statistiche e le cifre ci sono volti e storie di Vittime del lavoro, come quello di Luana D’Orazio apprendista di 22 anni e madre di un bimbo di 5, morta trascinata all’interno di un orditoio per la mancanza delle protezioni, manomesse per aumentare la produzione.

A titolo di cronaca i principali imputati hanno patteggiato con sospensione condizionale due anni di reclusione per Luana Coppini, titolare della Orditura Luana di Oste di Montemurlo dove il 3 maggio dello scorso anno avvenne la tragedia sul lavoro, e un anno e sei mesi per il marito Daniele Faggi, titolare di fatto dell’azienda.

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