L’inflazione è equa e democratica? Una possibile lettura del preoccupante fenomeno inflattivo in corso
di Fabrizio Cortesi
Ci avevano raccontato, sapendo di mentire, che l’inflazione che si è affacciata in Italia e nel mondo già dall’anno scorso e che ci sta scoppiando tra le mani da inizio anno, fosse temporanea, fisiologica e sotto controllo.
Come prevedibile, nulla di tutto questo era vero.
Stiamo registrando in questi giorni numeri di inflazione comunicata drammatici, dell’ordine del 7% negli USA, oltre i 5% in Germania, dal 3 al 4% in Italia (+4,8% a gennaio 2022), 5% in ambito OCSE.
Fenomeno transitorio o strutturale? Chi impatta di più l’inflazione? Ma sono davvero questi i numeri?
Ecco alcune mie considerazioni in 10 punti per cercare di rispondere, senza la presunzione di avere la verità in tasca:
1) Sul PIL: si capisce bene che i dati strabilianti di crescita del PIL snocciolati dai nostri ministri della finanza e dal presidente del consiglio M. Draghi sono in realtà uno specchietto per allodole: in primis perché si parla di un + 6.5% nel 2021, ma partendo da una caduta del 10% del 2020, il maggiore tonfo tra gli stati membri europei: significa perciò che siamo sotto ancora del 4.15% rispetto al livello del 2019, ma questo ovviamente nessuno lo dice. Nessuno dice anche il nostro PIL resta ancora sotto i livelli del 2008. In secondo luogo perché il dato della crescita del PIL è di fatto eroso nei presunti benefici economici dalla gigantesca inflazione e paradossalmente, proprio da essa generato (il PIL cioè, inteso come transazioni finanziarie in seguito allo scambio di merci, cresce drogato proprio in virtù dell’aumento dei prezzi, non per l’aumento di scambio delle merci stesse).

2) Il tipo di inflazione che vediamo non può assolutamente essere, a mio avviso, passeggero, ma temo sia bensì strutturale, proprio perché a causa del SARS-COV-2, come tante altre cose, sono saltati a livello globale molti tappi dei vasi di pandora che venivano tenuti ben sigillati: nel caso specifico, quello della insostenibilità e non-resilienza delle catene di approvvigionamento globalizzate. I numeri di inflazione dichiarati potranno quindi scendere in futuro, magari di poco, ma i livelli dei prezzi ora raggiunti purtroppo non scenderanno gran che, una volta saliti, perché il sistema si dovrà riconfigurare in modo diverso da prima.
3) Gli stessi dati di inflazione, come riportati dagli enti ufficiali (ISTAT per l’Italia) sono difficili da credere, ma purtroppo nel senso che paiono fortemente sottostimati: io sospetto che in realtà i dati veri siano molto, molto più alti di quanto dichiarato. Si pensi solo al raddoppio dei prezzi di moltissimi materiali (non solo edili), di molte materie prime, l’aumento vertiginoso del 75% del costo elettrico orario (lo ho appena verificato dalla bolletta, questi sono i numeri veri), che si sta traducendo nel rincaro incontrollato di qualunque merce, e dell’interruzione di molte produzioni (ad esempio l’acciaio) energy-intensive proprio per non andare in perdita secca di produzione. Un fornaio mi ha detto chiaramente che grano e farina costano oltre il 30% più di pochi mesi fa, e che lui deve ribaltare il costo sui clienti. I carburanti sono aumentati a loro volta tra il 20 e il 30% da meno di un anno fa. Quindi, scarsità di materiali, costo spropositato dell’energia si tradurranno in scarsità e aumenti incontrollati dei prezzi finali. Una tempesta perfetta. Non pare proprio che gli aumenti medi siano soltanto del 4% come ci viene raccontato. Non si può sapere la durata di tali fenomeni, ma non sono certamente temporanei: non torneranno più i prezzi precedenti.
4) Il nodo cruciale nel fenomeno inflattivo, delle catene di fornitura globalizzate: i nodi sono venuti al pettine. La produzione di merci si è da un ventennio globalizzata e parcellizzata, finalizzando tutto alla sua crescita quantitativa, di efficienza, di costi e massimizzazione del profitto (gli aspetti ambientali di tutto questo ovviamente sono optional del tutto trascurabili per questo modello finalizzato al profitto). Un prodotto oggi può essere composto di componenti che arrivano ognuna da diverse parti del globo, proprio per come è stata concepita la supply chain globalizzata. Il problema di questo modello è che se disgraziatamente (o per fortuna) si rompe un perno della catena, se si blocca il canale di Suez, se scoppia un’epidemia, va tutto in tilt perché si ritardano o si bloccano proprio le forniture e i trasferimenti di merci e di semilavorati. Al contempo ci si è anche accorti che molte materie prime sono proprio ormai scarse di loro, perché ipersfruttate, con ulteriore impennata dei loro prezzi. Oggi costa più un’auto usata di una nuova, semplicemente perché l’auto nuova (col listino vecchio) non la trovi più: fate la prova se non mi credete.
Ecco dunque, ciò che ha messo in luce definitivamente la pandemia: la insostenibilità e mancanza di resilienza di questo sistema globale di fornitura, tra i motivi della crisi strutturale ora innescata.
5) Perché l’inflazione non sarà temporanea ma strutturale? Se la causa dell’inflazione che vediamo fosse soltanto la ripresa della domanda di beni e di servizi dopo la pandemia (che peraltro è ancora in corso) da parte di imprese e consumatori, allora il fenomeno potrebbe poi riassestarsi e riassorbirsi. Ma la realtà e la lettura del fenomeno devono andare oltre, e porta a credere che il fenomeno sia invece strutturale e che resterà, ed è collegato al punto 4) sopra appena esposto.
6) Tutto questo dovrebbe insegnare agli stati, e in parte sta già avvenendo, a riconfigurare le proprie economie e i settori produttivi, per basarsi molto meno su forniture dall’altro capo del mondo e le delocalizzazioni, ma avocando ad una molto maggiore indipendenza e sovranità produttiva e tecnologica. Per certi settori ciò è fattibile, per altri molto più lungo e arduo, rischioso da realizzare (si pensi all’industria complessa dei chip, ora in mano all’Asia e a Taiwan); addirittura, certi materiali, come le terre rare, in Europa non esistono proprio, sarà quindi impossibile tagliare le dipendenze da certe regioni, come la Cina (invece ricca di terre rare), per i chip.
7) Vi sono poi le tensioni geopolitiche: Cina, Europa, Usa, Russia. In presenza di tensioni geopolitiche ogni blocco economico tenderà ad isolarsi e a ostacolare l’accesso ai propri assets strategici ed unici agli altri blocchi, e ad alzare le barriere e i dazi commerciali per certe merci. Ad esempio, gli USA hanno cercato di vietare ai Cinesi l’uso dei loro brevetti tecnologici per la produzione dei chip 5G, mettendo fuori gioco i produttori cinesi. A loro volta i produttori asiatici di chip hanno contribuito magari a frenare l’export dei loro prodotti verso l’Occidente, con la scusa delle strozzature delle catene di fornitura. Così, la Cina potrebbe ostacolare l’export in Occidente delle proprie terre rare, essenziali per le produzioni di apparati e circuiti elettronici sofisticati, e di batterie. Tutto questo contribuisce ad alzare ulteriormente i prezzi settoriali in modo strutturale.
8) E’ stato un gigantesco errore strategico da parte dell’Europa, spingere cosi al limite la dipendenza da certe geografie davvero inaffidabili sotto tanti punti di vista, e delocalizzando moltissime produzioni ad esempio in Cina. Riconfigurare ora l’economia e l’autonomia produttiva sarà operazione costosa, complessa, difficile e non sempre realizzabile: i nodi sono venuti al pettine e i costi evitati in passato si ripresenteranno rincarati adesso e nei prossimi anni. Le stesse considerazioni vanno fatte sulla dipendenza energetica dal gas Russo, ma anche lo stesso combustibile fissile delle centrali nucleari non è disponibile in Europa e crea forti dipendenze geopolitiche per i paesi che hanno scelto questa insidiosa strada, addirittura recentemente avallata dalla CE come opzione definita surrettiziamente ecologica nella tassonomia della transizione energetica europea.
9) Ma ecco il punto principale: chi impatta di più l’inflazione, soprattutto un’inflazione duratura, grave e strutturale come quella attuale? La distribuzione del reddito tra i cittadini si rivela sconvolta dalle dinamiche economiche che stiamo vivendo, perché l’inflazione purtroppo non è né democratica, né neutrale tra le classi sociali, mettendo in netta contrapposizione produttori/venditori e acquirenti/consumatori: Basti pensare al calo netto di potere d’acquisto dei ceti meno abbienti, o comunque dei lavoratori dipendenti che lavorano per avere un reddito fisso che serve loro per acquistare merci a prezzi che invece aumentano del 5% (io credo molto di più) solo quest’anno: nella seconda categoria saranno tutti più poveri. Al contrario invece, commercianti e imprenditori/produttori potranno variare i prezzi (vedete solo cos’è accaduto sui prezzi di merci e servizi in ambito ristrutturazione energetica), e quindi i loro redditi, con un unico limite dato dal grado di concorrenza del mercato in cui operano, aumenteranno a dismisura, sottraendo ricchezza all’altra categoria: una battaglia tra ceti sociali.
In questo scenario ci si mette poi anche lo Stato con discutibili politiche keynesiane, come nel caso del bonus energetico del 110%: una politica iniqua fatta in questo modo non solo ha fatto raddoppiare i prezzi di questo tipo di interventi, ma di nuovo, porta vantaggio soprattutto ai possessori, tipicamente benestanti, di case singole, ville, coloro con più case, che sono i maggiori beneficiari del decreto, i quali non solo si trovano le case ristrutturate gratis e avvalorate in rendita, ma si tagliano così anche le bollette energetiche, sottraendosi così da una parte preponderante di inflazione. Con una simile politica che ha drogato il mercato, quasi nessuno potrebbe più permettersi una ristrutturazione energetica della casa, se non gliela pagasse lo Stato, cioè tutti gli altri che non beneficiano dell’enorme regalo.
La scure dell’inflazione, perciò, e nonostante i roboanti ma ingannatori numeri snocciolati da Mario Draghi sulla crescita del PIL italiano, si abbatterà pesantemente a sfavore dei redditi fissi e dei lavoratori dipendenti, delle classi meno abbienti e di chi non “fa il prezzo” ma lo subisce, sui consumatori.
10) la soluzione sarebbe trasformare profondamente l’economia e la società, non solo i settori strategici, verso l’autosufficienza, la resilienza, la sostenibilità, proprio nei modelli più profondi di vita, andando cioè verso un’autosufficienza addirittura alimentare per le singole famiglie: chi può dovrebbe davvero valorizzare la propria terra e coltivarsi in modo naturale ed elementare una buona parte di cui ha bisogno per vivere e per gli altri un vero Stato amico dovrebbe mettere a disposizione a prezzo calmierato prodotti della terra ma coltivati naturalmente, dopo aver abbandonato del tutto l’agricoltura e gli allevamenti intensivi.
Chi risentirà meno dell’inflazione sarà certamente colui che si fa bastare meno per vivere una vita soddisfacente e felice, chi sarà più autosufficiente, ad esempio con un orto e un bosco a disposizione (la vera ricchezza di oggi), chi avrà fatto della parsimonia di risorse e del rifiuto dello spreco uno stile di vita e una visione da perseguire. Paradossalmente oggi, i consumatori saranno più poveri, i venditori più ricchi: converrà quindi ai primi scegliere la via della parsimonia, che è anche quella più sostenibile eticamente e ambientalmente.
Io credo e temo che Carl Marx si rigirerebbe nella tomba a vedere le iniquità tra classi e ceti sociali che stiamo per vedere nei prossimi mesi e anni.
Nel frattempo, finché dura, godetevi la propaganda di governo.
Fabrizio Cortesi