Nell’era dei tornado, per uscire dalla tempesta dobbiamo decrescere: non ci sono scorciatoie

Dopo gli eventi metereologici estremi con le alluvioni di giugno in Romagna tocca ora durante luglio al Piemonte, alla Lombardia, al Veneto e Friuli, fino alla nostra Brianza, flagellata il 24 luglio da fenomeni di “downburst” devastanti.
Gli eventi di questi giorni, che hanno bucato tetti e facciate dei palazzi, divelto alberi e travolto auto e persone, sono causati da super celle temporalesche che si generano dallo scontro dell’anticiclone delle Azzorre e quello Africano caldi con le perturbazioni fredde del Nord Europa, generando potenti correnti che hanno immagazzinato tanta energia termica a causa del riscaldamento, abnorme nel passato ma normale ormai da anni, dei mari e del terreno e che poi scatenano la loro furia con la manifestazione dei “downburst”, discese rapide, vorticose e orizzontali, di aria fredda accompagnate da intense precipitazioni di acqua e grandine, lasciando sul territorio che attraversano i dolorosi segni che abbiamo constatato tutti nei giorni appena passati.
Questi eventi potranno essere accaduti ogni tanto anche in passato, decenni o secoli fa (Lissone stessa registra una tromba d’aria nel lontano 1986), ma mai con la frequenza e l’estensione geografica con cui li vediamo ormai da svariati anni su tutta l’Italia, alternando periodi di estrema calura e siccità con alluvioni, tornado, super celle, downburst.
La causa di questi fenomeni, per frequenza, intensità e diffusione, è innegabilmente legata al cambiamento climatico, indotto e accelerato esponenzialmente negli ultimi decenni dalla rivoluzione industriale in poi, proprio a causa delle emissioni climalteranti delle attività industriali, agricole, zootecniche, trasportistiche, tipiche della società e dell’economia capitalistica ed estrattiva, vocata alla crescita infinita di produzione di merci e servizi.
Chiaramente, quando si verifica una pioggia o una grandinata intensa, questa più facilmente provocherà allagamenti e torrenti d’acqua laddove si è costruito, cementificato, asfaltato di più, ricoperto e modificato alvei dei fiumi, deforestato anche lungo gli argini. Una tromba d’aria farà più danni in zone fortemente antropizzate, proprio per il capitale e i manufatti presenti in quelle aree. E il nostro paese è estremamente vulnerabile, essendo altamente antropizzato quasi ovunque, in particolare nelle regioni del Nord Italia, tra le aree più affollate e costruite del globo.
La probabilità che si verifichino certi eventi meteo estremi in un dato punto è direttamente proporzionale all’energia in gioco accumulata dai fenomeni atmosferici, energia a sua volta legata ai cambiamenti e al riscaldamento globale, oceani e mari inclusi.
Se poi a questo surriscaldamento sommiamo l’ulteriore spinta ed energia impressa alle correnti d’aria dall’effetto “isola di calore” di estensioni enormi di suolo ormai completamente edificati e ricoperti di asfalto e cemento senza soluzione di continuità, con i paesi compenetrati uno nell’altro come accade in Brianza, una situazione già di suo potenzialmente rischiosa si traduce in una catastrofe certa e annunciata, come la serie di eventi che si sono susseguiti durante luglio sulle regioni del Nord e quelli che hanno sconvolto la nostra Brianza, in special modo nei paesi di Seregno, Desio, Lissone (che ha avuto anche una vittima), Monza, guarda caso le città con la maggiore ricopertura del suolo.
Il vero problema è che con queste condizioni e premesse, gli eventi estremi non cesseranno e potrebbero protrarsi anche durante Agosto e poi in Autunno, magari tornando alla siccità così era accaduto in inverno e primavera fino ad aprile/maggio.
È evidente che il problema del riscaldamento terrestre di origine antropica si verifica su scala globale, ma se localmente nessuno fa la propria parte per ridurre il proprio contributo di emissioni ad una situazione climatica già fuori controllo, non ne usciremo mai, sempre ammesso che ne usciremo.
Ognuno di noi localmente è al contempo vittima di questi fenomeni e potenziale soluzione o attenuazione del problema, se impara a cambiare i propri stili di vita e a far parte di un sistema economico sociale diverso da quello vigente, e questo dovrebbe partire ed essere guidato dalle politiche nazionali, regionali, comunali, cosa che purtroppo non sta affatto accadendo.
Si è arrivati a questa catastrofe ambientale e climatica, proprio a causa di un sistema insostenibile di produzione industriale, consumi sfrenati, sprechi e generazione di rifiuti, tutto parte e frutto di una visione capitalistica e neoliberista novecentesca, che dovremmo al più presto archiviare, voltando pagina.
Occorre, insomma, decrescere nel superfluo e negli sprechi, occorre togliere, non aggiungere altri problemi al problema che noi stessi abbiamo già creato.
Se continui a estrarre risorse, emettere sostanze di scarto non biodegradabili, a produrre indefinitamente anche merci che non servono, a consumare in modo impulsivo, a costruire ed asfaltare ovunque, per forza di cose il sistema che ci ospita alla fine si destabilizza e va fuori controllo, come è accaduto oggi. Le temperature sulla terra ferma sono aumentate ben oltre gli 1,5 gradi dell’accordo di Parigi, che si riferisce alla temperatura media del globo, oceani inclusi. Nelle nostre isole di calore urbane e cittadine, le temperature sono anche 5-10 gradi oltre la soglia dell’accordo di Parigi e ben più alte di quelle delle campagne circostanti: questa energia viene poi accumulata e poi espulsa dai sistemi nuvolosi. Ma si va avanti a costruire, a fare centri commerciali, parcheggi e ad asfaltare. Con quale scopo esattamente?
Per agire localmente, pensare globalmente, a livello locale e nel breve periodo, per quanto riguarda il problema del crollo delle piante che ci ha afflitto in questi giorni, la soluzione non sarà certamente potare/capitozzare o togliere gli alberi rimasti, semmai piantarne di più, rinverdire le città, de pavimentare il suolo ovunque possibile riportandolo a terra e a erba, sostituire le piante secche e malandate (tipicamente quelle che cadono) con altre specie autoctone, più resistenti al clima attuale e curarne la salute nel tempo, eventualmente sostituirle, predisporre gli edifici esistenti isolandoli con tetti e pareti verdi (non con cappotti sigillanti fatti di sostanze sintetiche o plastiche come spesso si vede fare) e tanto altro.
Di errori se ne sono commessi troppi, da parte dei politici, degli elettori, dei cittadini: vediamo di collaborare per dare una svolta a questa società che sta accelerando come un treno impazzito, senza freni, contro un muro di cemento armato.
Ing. Fabrizio Cortesi, membro del direttivo di SEqUS (Sostenibilità Equità Solidarietà)