NUOVI VIGNETI SOTTO LE ALI PROTETTRICI DELL’UNESCO?

Percorrendo lo sterrato che fiancheggia il Lierza, nella zona del Molinetto  della Croda,  rimanevo sempre compiaciuto nel vedere un bel prato che arricchiva, almeno in quel tratto,  la varietà del paesaggio: bosco, viti, prati. Percorrendo oggi  lo stesso tratto scopro come quel prato sia stato trasformato nell’ennesimo vigneto. Non solo. Il cartello del cantiere  indica, accanto all’occupazione del prato da parte di un nuovo vigneto,  anche un lavoro di  “riordino forestale” sull’altro lato dello sterrato. Non poteva mancare, in abbinata con l’occupazione vitivinicola di un prato, un “taglio boschivo” che, però, guarda caso,  dopo un “diradamento forestale” prospiciente lo sterrato fa intravvedere, seminascosto, un taglio a raso, funzionale all’impianto di futuri vigneti.  Oggi, siamo nel 2023, davanti a simili “interventi agricolo-forestali” cosa  c’è di diverso  rispetto al passato recente che ha visto, incentivata dalla Regione con 83.400.000 euro dal 2011 al 2017 (Fonte Avepa), l’espansione di una monocoltura intensiva? C’è di diverso che nel luglio 2019 l’area è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità e che l’Icomos  (Consiglio Internazionale dei Monumenti  e dei Siti), organo consultivo dell’Unesco,  aveva “raccomandato” alle istituzioni, per potersi fregiare  del  titolo di Patrimonio dell’Umanità, il  rispetto di 14 impegni gestionali (prescrizioni), uno dei quali era il seguente: “chiarire l’estensione dell’area di impegno (in ettari). Il “Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita” della Regione Veneto indica in 13,5 tonnellate di prodotto per ettaro la  massima produzione consentita di Prosecco Docg: resta da verificare se tale soglia nella produzione di prosecco sia stata raggiunta dalle 102 milioni di   bottiglie (Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, dati 2022) in un’area che occupa   8674 ettari (Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Docg, dati 2022) e superi  la soglia indicata dal “Disciplinare di produzione dei vini Docg” della Regione Veneto. Tra l’altro, quel  vigneto, piantato  in una “zona umida” non vocata per  “micro-clima” e “composizione del terreno”, è maggiormente esposto all’attacco di parassiti e di conseguenza richiederà un maggior uso di pesticidi.  Fa specie leggere a pag. 46 del volumetto a colori in carta lucida spedito a reti unificate a tutti i cittadini veneti per celebrare la proclamazione delle colline del Prosecco a Patrimonio dell’Umanità: “facendo salvi il paesaggio e la biodiversità che sono state conservate nei secoli, impostando un impianto agrario fatto di piccole particelle di terra dedite a coltivazione, inserite in una rete ecologica di boschi, siepi e prati, unica al mondo”. Come fa specie leggere a pag. 28 di tale costoso volumetto pubblicitario: “la capacità dell’uomo di adattarsi e permettere al territorio di evolversi senza alterare le componenti geomorfologiche delle dorsali e la biodiversità”. 

La verità è un’altra:  basta posare uno “sguardo ribelle” su una narrazione artefatta dal “marketing territoriale”. La “monocoltura intensiva” del Prosecco  ha spazzato via le altre colture e con esse le  tradizioni di “vita contadina” radicate nel tempo. Basta entrare in una di quelle “casere”, che si vogliono trasformare in dipendenze di albergo diffuso,  per notare la mangiatoia per le mucche, il fienile e altri segni di una “piccola agricoltura contadina”,  dove prati  per la fienagione, colture  come il mais, il grano, davano vita ad una “economia di sussistenza” e costituivano un’anticipazione    di quella “sovranità alimentare” che oggi si invoca,  ma solo a parole.

Per non parlare dei “mulini da grano tenero e da granoturco” un tempo  presenti in alcuni borghi e comuni della “core zone” e funzionanti  fino agli  anni 60. I promotori della candidatura  Unesco hanno estromesso questo  passato dalla loro narrazione, troppo impegnati a costruire l’immagine  pubblicitaria  di una “viticoltura bucolica”,  usando a sproposito il termine “eroico” per una viticoltura oggi più che mai industrializzata, meccanizzata, che  si avvale di braccianti extracomunitari, di imprese di movimento terra che con ruspe e bobcat sono in grado di impiantare, favorendo l’erosione del suolo,  un “vigneto chiavi in mano”.  Ma il passato agricolo  delle colline, dove la viticoltura era su piccola scala, a uso famigliare, non è sfuggito a Icomos se nel 2018 aveva bocciato la richiesta di inserire le colline del Prosecco nella lista dei siti Unesco, sostenendo che   non presentavano le caratteristiche di “unicità” necessarie a renderle Patrimonio  dell’Umanità  e come proprio  l’eccessiva coltivazione di vigneti aveva compromesso il paesaggio originario. 

L’espansione imperialistica della “glera” e l’uso intensivo della “chimica di sintesi” in un modello di “agricoltura industriale” avevano quindi portato Icomos nel 2018 alla bocciatura della candidatura. Il dissenso di Icomos è stato superato dall’Unesco in “sede politica”  attraverso la trasformazione del dissenso di Icomos  in “14 prescrizioni stringenti”, mentre una “quindicesima raccomandazione”, che stabiliva l’obbligo di informare l’World Heritage   dei principali progetti che potrebbero avere un impatto sull’area, è stata “omessa” nel Rapporto del World Heritage Centre  di Parigi. Qui si tratta di stabilire se un territorio, per la sua unicità ambientale, etnografica, antropologica, paesaggistica, storica,  merita tale “prestigiosa proclamazione” di notevole  risonanza  internazionale. Nel caso delle colline del Prosecco tale “etichetta internazionale” dovrebbe  essere almeno subordinata, alla luce della documentazione ufficiale di Unesco,   al rispetto delle “14 prescrizioni”, pena la revoca dell’egida di Unesco. Un po’ come  per  la patente che può essere revocata in caso di gravi inadempienze del  Codice  della Strada.

Ormai, a tre anni dalla proclamazione delle colline del Prosecco a Patrimonio  dell’Umanità   a preoccupare è anche  il rischio che i fattori produttivi ed economici legati all’aumento del flusso turistico (i  400 mila visitatori attuali  potrebbero raddoppiare nel giro di 5 anni) possano generare  drastici cambiamenti nell’ambiente, inteso come “area vasta”  e compromettano la “stabilità ecosistemica dell’area”.  È un po’ quello che sta accadendo, con modalità diverse, ad altri siti Unesco  come le Dolomiti (con progetti di nuovi impianti, di nuove infrastrutture e l’organizzazione delle Olimpiadi invernali) e Venezia,  dove i veneziani sono costretti a fuggire dall’assedio turistico e dalla proliferazione di bancarelle e locazioni turistiche.

L’appiattimento dialettico e culturale (solo il Pesticide Action Network Italia e i gruppi locali che si battono da anni contro l’uso eccessivo di pesticidi hanno preso una posizione contraria estremamente fondata e motivata)  nel dibattito  sull’esistenza  o meno dei requisiti ambientali, antropologici e storici utili al riconoscimento delle colline del Prosecco come sito Unesco  e il poderoso finanziamento con soldi pubblici, che ha accompagnato il pluriennale processo di candidatura (iniziato nel 2009), rischiano di affossare anche elementari principi di partecipazione e di democrazia e per questo va coinvolto Unesco nella denuncia e monitoraggio di quello che sta accadendo sui territori della “core zone” e sul rispetto delle “14 prescrizioni”. Diversamente,  la proclamazione a Patrimonio dell’Umanità dell’area collinare diventa solo un’operazione di “marketing territoriale” per lo “sfruttamento commerciale” di un’etichetta, priva di quel  “valore umanitario” tanto strombazzato. 

Schiavon Dante

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