Per una agricoltura della vita, ad alta intensità di conoscenza e relazioni

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di Giuseppe Cilento

I territori di collina e di montagna sono il 76% del territorio nazionale e l’85% di quello campano, ma perdono la fertilità nel disinteresse generale.

In queste zone abbiamo aderito ad un modello industriale senza neanche avere l’industria, per cui è prevalsa la ricerca passiva del denaro per comprare le cose, invece che quella attiva del fare per produrre ciò che ci serve, rigenerando la vita della terra. Oggi abbiamo il compito di ripristinare la vita di comunità, delle relazioni umane strettamente connesse allo scambio dei beni, sia all’interno delle collettività agricole che tra queste e l’area più vasta dei consumatori, riaffermando i valori di scambio rispetto ai valori d’uso (la ricerca di denaro per comprare le cose), la cooperazione, la solidarietà, in una agricoltura non industriale.

Lo spopolamento della collina e della montagna si è diffuso in maniera direttamente proporzionale all’impoverimento, alla mineralizzazione, all’indurimento, all’erosione dei suoli e alla polverizzazione o concentrazione della proprietà. Perciò, in una concezione non antropocentrica, occorre voler bene alla terra, alla vita della terra, che va ancor più monitorata e protetta dopo lunghi e frequenti periodi di siccità. Il surriscaldamento progressivo del pianeta si sta aggiungendo ai problemi generati dagli uomini, che andrebbero risolti con una maggiore attenzione alla vita del suolo, alla sua protezione con la formazione di lettiere, con variazioni ai cicli colturali, ai tempi di semina, di cura dei frutti, di raccolta.

Noi siamo la prima generazione che con una agricoltura violenta ha triturato e avvelenato la vita della terra, ha distrutto la biodiversità con l’estensione indiscriminata delle monocolture estranee alla storia produttiva locale, ha indurito e mineralizzato il suolo con metodi colturali sbagliati, soprattutto con i concimi minerali (l’azoto mineralizza i suoli), i diserbanti, i veleni, le lavorazioni a rittochino (dall’alto in basso sui pendii favorendo così l’erosione), le vangature profonde, l’irrigazione … Ciò ha generato malattie nelle piante e negli uomini e l’aumento degli insetti con risultati devastanti: la desertificazione di un miliardo di ettari nell’ultimo secolo, l’avvelenamento dei cibi, la perdita di valori nutrizionali, di sapori, di profumi, della biodiversità, irripetibili e inimmaginabili negli OGM. Eppure i microambienti italiani si arricchiscono, quasi unici al mondo, per numero e qualità di piante biodiverse e salutari.

Oggi questi problemi riguardano in modo particolare l’appennino e la montagna italiana, mentre i cali drastici della produzione vengono a torto attribuiti solo all’inclemenza degli eventi atmosferici.

E la stessa violenza delle precipitazioni va in gran parte, se non totalmente, attribuita alla mineralizzazione dei suoli, che con la loro durezza non assorbono le piogge. Si tenga conto che un suolo ricco di sostanza organica può assorbire dai 150 ai 300 mm di acqua, mentre un suolo mineralizzato ne assorbe un solo millimetro, mentre viene devastato dall’erosione. Così le piene ingrossano i fiumi.

Occorre costruire con pazienza sistemi agricoli ad alta intensità di  conoscenza, che rimane la ricetta migliore per la felicità e per una buona agricoltura.  Oggi viviamo una profonda crisi dell’agronomia, che si è fondata solo sulla chimica, proprio mentre la grande scienza del ‘900 scopriva il tessuto fitto e complesso di relazioni che regola la vita della materia. I buoni coltivatori acquisiscono la consapevolezza della fisiologia delle piante, della biologia, della chimica organica, della fisica, insomma della vita, recuperando gli antichi saperi contadini e integrandoli con le moderne conoscenze scientifiche. Così si diventa coltivatori buoni, senza i quali non può esistere una buona agricoltura. Le piante della biodiversità locale ben nutrite e in buona salute, esattamente come gli esseri umani, non solo producono di più, ma si difendono meglio dalle malattie e dagli insetti. Oggi possiamo dire con certezza che l’agricoltura biologica è più resistente, più efficiente e redditizia dell’agricoltura tradizionale.

Lo studio Farming Systems Trial (FST) (un’indagine, la più lunga effettuata negli Stati Uniti, portata avanti dal Rodale Institute, un’organizzazione americana senza scopo di lucro che sostiene la ricerca nell’agricoltura biologica), ha infatti confermato che, dopo un iniziale calo dei rendimenti durante i primi anni di transizione, le coltivazioni biologiche registrano un cambiamento di rotta, arrivando a eguagliare e addirittura superare i sistemi di coltura tradizionali. Si legge dal rapporto: “Dal momento che stiamo affrontando modelli meteorologici estremi e incerti, quantità di petrolio scarse e sempre più costose, carenza d’acqua e crescita della popolazione, avremo bisogno di un sistema di agricoltura che sappia adattarsi, che resista o addirittura riesca a mitigare questi problemi e allo stesso tempo produca cibo salutare e nutriente. Dopo più di 30 anni di ricerca fianco a fianco sul nostro FST (Farming Systems Trial, Collaudo del Sistema Agricolo), il Rodale Institute ha dimostrato che l’agricoltura biologica è meglio equipaggiata nell’alimentarci, sia ora che in un futuro in continuo cambiamento”.

Il rapporto, nei suoi trent’anni di osservazione, ha infatti mostrato che:

  • le coltivazioni biologiche hanno rendimenti migliori negli anni di siccità;
  • le colture organiche regalano sostanze nutritive al terreno, invece che esaurirle, così come fa l’agricoltura tradizionale, una cosa che rende il sistema più sostenibile;
  • consumano il 45% in meno di energia e sono più efficienti;
  • i sistemi convenzionali producono il 40% in più di gas a effetto serra;
  • i sistemi utilizzati dall’agricoltura biologica sono in generale più redditizi rispetto a quelli tradizionali.”

E agli stessi risultati sono giunte altre importanti università.

Vi sono tre assi strategici su cui lavorare ridurre i costi e aggiungere valore alle produzioni:

  1. Agricoltura organica rigenerativa con la riscoperta di antiche pratiche contadine, connesse all’allevamento degli animali, al recupero del letame, e alle semine autunnali di leguminose, graminacee, brassicacee e della copertura primaverile del suolo, fino alla formazione di una lettiera e di  un buon livello di sostanza organica;
  2. innovazione tecnologica ecosostenibile;
  3. ecoturismo (soprattutto di prossimità).

Occorre quindi una rivoluzione culturale e colturale con azioni tese non a piegare la natura alle coltivazioni bensì ad integrare le coltivazioni nella natura.

Di seguito un breve elenco degli aspetti su cui lavorare:

  • Attenzione particolare ai terreni in pendio, con coltivazioni a girapoggio, una volta sostenute dai muretti a secco in pietra locale, riducendo al massimo le lavorazioni, utilizzando mezzi meccanici leggeri, riorientando le coltivazioni per evitare le lavorazioni a  rittochino, facilmente sottoposte all’erosione;
  • Formazione della lettiera, cioè pacciamatura e rigenerazione della vita del suolo (batteri, funghi, microfauna), attraverso l’eliminazione di vangatrici, frese, trincia, diserbanti, concimi chimici … e l’adozione di aratri a dischi per la semina per l’inerbimento e di roller crimper, di barre falcianti per l’abbattimento primaverile dei seminati: pratiche agricole che abbassino i costi, innalzino la fertilità, elevino le qualità nutrizionali, ricostruiscano pazientemente la sostanza organica in un lasso di tempo non breve;
  • Autoproduzione nelle aziende contadine di biofertilizzanti (con microrganismi, farine di roccia …), di compost ;
  • Inerbimento, soprattutto nei terreni in pendio, con leguminose, graminacee, brassicacee storicamente adattate al microambiente locale, utilizzando  nella semina preferibilmente più le alternanze che le miscele, come per secoli si è fatto;
  • Pratica dell’agricoltura sinergica, dell’agroforesta, dell’aridocoltura con cippato (BRF), in un sistema di arricchimento reciproco delle piante e di miglioramento della sostanza organica del suolo;
  • Adozione di prodotti naturali per la difesa fitosanitaria, di gran lunga più efficaci e salutari di quelli tossici (calce, caolino, zeolite, zolfo… macerati di erbe e piante) ;
  • Certificazione biologica dei suoli parametrata alla quantità di vita presente in essi (fissando una soglia minima di sostanza organica, con l’obiettivo misurabile di portarla almeno al 3% in un numero di anni da prestabilire). Attualmente l’Ispra documenta una abbassamento della sostanza organica nei suoli agricoli a livelli inferiori al 2%. In alcuni terreni costipati dal pascolo o da macchine agricole troppo pesanti abbiamo riscontrato valori di sostanza organica tragicamente prossimi allo zero;
  • Istituzione a livello comunale, anche con contributo volontario degli anziani, di campi collezione, centri didattici di recupero, di raccolta e di moltiplicazione di varietà tradizionali di piante da frutto e di semi antichi, che possono sfociare in campi-vivaio, dove le piante possono venire moltiplicate e successivamente valutate, anche da un punto di vista fitosanitario, per un ritorno alla produzione;
  • Scambio di semi e frutti, arricchito dalla conoscenza sulla biodiversità locale, sui semenzai e sugli innesti sui selvatici;
  • Operazioni di restauro ambientale, con reinnesto con antiche varietà locali al posto di cultivar non autoctone, improvvidamente impiantate in ambienti non vocati, cominciando innanzitutto lungo le strade a scopo dimostrativo;
  • Riforma dei corsi di potatura da tenersi soprattutto in pieno campo con adattamento delle cultivar ai sistemi di raccolta;
  • Uso di trattori radiocomandati, che fungano da porta attrezzi leggeri e sicuri per aratura a dischi, potatura, abbattimento erba, raccolta meccanica, irrorazione di microrganismi naturali e di sostanze biologiche e spargimento del compost;
  • Ricerca applicata permanente (oggi inesistente) per la meccanizzazione ecosostenibile dell’agricoltura sui terreni di collina e di montagna;
  • Legge nazionale sulla pastorizia che regolamenti l’utilizzo del fuoco prescritto, del pascolo razionale con permanenze limitate nel tempo degli animali per evitare la compattazione dei suoli, l’uso di stazzi smontabili in montagna per il freddo delle stagioni e delle notti, l’autorizzazione della piccola macellazione tramite l’utilizzo di mattatoi mobili, l’eliminazione della piaga dei fitti fittizi, la ricomposizione della piccola proprietà, la disponibilità piena dei pascoli anche nelle zone A dei parchi;
  • Sistema degli incentivi correlato alla presenza di sostanza organica nei terreni
  • Uso dei superammortamenti e iperammortamenti
  • Eliminazione  dei troppi consorzi in agricoltura, quasi uno per ogni funzione, ed incentivare le aziende cooperative di produttori, dei giovani, delle coltivazioni bio e DOP (allo stato attuale persistono ritardi gravissimi nella erogazione dei contributi europei, statali, regionali ai produttori biologici, sebbene deliberati da anni);
  • Approccio sistemico alle produzioni (frantoi…) con riutilizzo (compostaggio …) dei sottoprodotti;
  • Caratterizzazione dei valori nutrizionali dei prodotti in rapporto ai corridoi ecologici;
  • Obbligo di certificazione in etichetta di antiossidanti, di monoinsaturi, proteine, vitamine …, cioè dei nutrienti salutari
  • Azioni dimostrative nei territori;
  • Educazione sensoriale dei consumatori, con ampio coinvolgimento delle scuole;
  • Compartecipazione dei consumatori alla produzione in uno stretto rapporto città-campagna, produttori-consumatori, attraverso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), le esperienze di CSA (Community Supported Agriculture).

Photo by Roman Synkevych on Unsplash

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Una risposta

  1. Anna Rossini ha detto:

    Per favore,aboliamo il termine “consumatori”e sostituiamolo con “cittadini”.Un piccolo segno per invertire un pensiero! Grazie

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