Sostenibilità
La sostenibilità ambientale è un concetto che mette in relazione il consumo delle risorse rinnovabili utilizzate dalla specie umana per soddisfare le proprie esigenze materiali, con la capacità della fotosintesi clorofilliana di rigenerarle utilizzando l’energia luminosa che il sole invia sulla terra per sintetizzare acqua e anidride carbonica in uno zucchero semplice: il glucosio. Successivamente il glucosio attiva una serie di processi biochimici con alcuni elementi (azoto, potassio, calcio, fosforo ecc.) per sintetizzare tutte le sostanze di cui la vegetazione ha bisogno per nutrirsi – amminoacidi, proteine, grassi, vitamine – e di cui hanno bisogno per nutrirsi tutti gli altri viventi, che le assumono attraverso le catene alimentari. Il prodotto di scarto della fotosintesi è l’ossigeno, che tutti i viventi assorbono per usarlo, in un certo senso, come comburente al fine di ricavare l’energia necessaria a sostenere i processi vitali e rilasciarlo poi sotto forma di anidride carbonica. Alle emissioni di anidride carbonica contribuisce inoltre la decomposizione del materiale organico, mentre al loro assorbimento contribuiscono gli oceani che sciolgono l’anidride carbonica dell’atmosfera trasformandola in acido carbonico; il carbonio oceanico viene a sua volta in parte assorbito da micro-organismi che poi morendo si depositano sul fondo. La specie umana ha cominciato a introdurre elementi di squilibrio in questo ciclo aumentando le emissioni di anidride carbonica e riducendone l’assorbimento con la combustione del legno e con l’abbattimento delle foreste per ricavare terreni agricoli e urbani, materiale da costruzione per l’edilizia e per i cantieri navali, ma il colpo decisivo lo ha apportato negli ultimi tre secoli con la combustione di quantità crescenti di fonti fossili.
Le potenzialità della fotosintesi clorofilliana dipendono dalla massa dei vegetali, che a partire dalla seconda metà del Settecento, secondo i dati forniti dal botanico Stefano Mancuso è stata dimezzata dall’abbattimento di circa 3 mila miliardi di alberi, e dalla biodiversità, anch’essa drasticamente ridotta dall’intervento umano. La riduzione della biodiversità accresce l’insostenibilità ambientale, soprattutto perché impoverisce le reti di interconnessione tra i viventi, riduce l’efficienza di molti cicli biogeochimici e diminuisce la resilienza dei sistemi viventi. La perdita di biodiversità è l’elemento più dirompente nel compromettere il funzionamento della biosfera.
La specie umana rimane nei limiti della sostenibilità ambientale se non consuma più risorse rinnovabili di quelle che vengono rigenerate annualmente dalla fotosintesi clorofilliana e dai processi biochimici che attiva, se non genera con le sue attività una quantità di emissioni di anidride carbonica superiore a quella che la fotosintesi riesce a sintetizzare, se non riduce la biodiversità, come sta avvenendo a causa del cambiamento climatico, dell’inquinamento, delle monocolture intensive, del disboscamento, dell’urbanizzazione, dello sfruttamento diretto con la caccia e la pesca.
Dagli anni Ottanta del secolo scorso la specie umana consuma più risorse rinnovabili di quelle rigenerate annualmente dalla fotosintesi. Da allora il divario è progressivamente aumentato. Nel 2019 le ha esaurite il 29 luglio. Dalla seconda metà dell’Ottocento, con la combustione delle fonti fossili le emissioni di anidride carbonica hanno cominciato a superare quelle sintetizzate dalla vegetazione con la fotosintesi clorofilliana. Le quantità eccedenti si sono accumulate nell’atmosfera. Per 8.000 secoli la loro concentrazione nel miscuglio di gas che compongono l’aria ha oscillato tra le 170 e le 270 parti per milione. Tanta ne veniva emessa dalla respirazione di tutti i viventi e altrettanta ne veniva assorbita dalla fotosintesi clorofilliana. Tanta ne veniva stoccata dagli arbusti nella cellulosa e dagli alberi nella lignina, altrettanta ne veniva emessa dalla combustione del legno. Analogamente tanto ossigeno veniva emesso dalla fotosintesi e altrettanto ne veniva assorbito dai viventi con la respirazione.
L’anidride carbonica, oltre a intervenire nella fotosintesi, influisce sulla temperatura terrestre perché lascia passare tutto lo spettro della radiazione luminosa inviata dal sole (raggi ultravioletti, radiazione visibile e infrarosso vicino) ma trattiene nell’atmosfera una parte della radiazione infrarossa che la superficie terrestre, riscaldata dalla luce del sole, emette con una lunghezza d’onda diversa (infrarosso lontano). Di conseguenza, se aumentano le concentrazioni di anidride carbonica cambia il profilo termico dell’atmosfera: vicino al suolo la temperatura media aumenta, mentre nella stratosfera diminuisce, in modo da consentire di espellere all’esterno del nostro pianeta una quantità di energia corrispondente a quella che vi entra. La piccola percentuale di CO2 che si è stabilizzata nell’aria da almeno 8.000 secoli ha consentito che la temperatura media del pianeta fosse di +15 °C, invece di -18 °C. In due secoli e mezzo la concentrazione di anidride carbonica nell’aria è aumentata da 270 a 419,1 parti per milione, innescando l’innalzamento più rapido della temperatura vicino alla superficie della terra che si sia mai verificato: rispetto all’epoca pre-industriale la temperatura media alla base dell’atmosfera è aumentata di 1,1 °C. Siamo molto vicini al limite di 1,5 °C, che nel 2015 alla Cop 21 di Parigi è stata considerata la soglia oltre la quale, con un margine di +0,5 °C, raggiungerebbero il punto di non ritorno (tipping point) alcuni fenomeni che renderebbero la terra inabitabile per la specie umana: lo scioglimento della calotta polare artica, l’arresto della corrente del golfo, lo scioglimento del permafrost, la variazione dell’albedo ecc.
La biodiversità si sta riducendo drammaticamente. Secondo una relazione Onu pubblicata nel 2019 si è già estinto un milione di specie su un totale stimato di 8 milioni, molte delle quali rischiano di scomparire nei prossimi decenni. Alcuni scienziati ritengono che sia in corso la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta Terra. Le precedenti estinzioni di massa hanno eliminato tra il 60 e il 95 per cento di tutte le specie viventi. Servono milioni di anni affinché gli ecosistemi guariscano da eventi di simile portata.
L’umanità ha superato i limiti della sostenibilità ambientale. Per rientrare in quei limiti occorre:
– ridurre le emissioni di anidride carbonica generate dalla produzione e dal consumo di merci;
– ridurre la quantità delle risorse rinnovabili consumate annualmente dall’umanità;
– ridurre i processi che impoveriscono la biodiversità;
– smettere di produrre sostanze di sintesi che non possano essere metabolizzate dai cicli biochimici;
– potenziare la fotosintesi clorofilliana, ricostituendo boschi e foreste in una misura che, secondo le valutazioni di Stefano Mancuso, per essere efficace, non può essere inferiore a mille miliardi di alberi;
– aumentare la sostanza organica nei terreni.
La diminuzione delle emissioni di anidride carbonica si può ottenere sostituendo le fonti energetiche fossili con fonti rinnovabili; aumentando l’efficienza con cui si utilizza l’energia in modo di consumarne di meno a parità di servizi energetici; riducendo drasticamente gli allevamenti industriali per ridurre il metano emesso dalle fermentazioni enteriche dei ruminanti. La riduzione dei consumi di risorse naturali si può ottenere limitando gli sprechi; aumentando l’efficienza dei processi di trasformazione delle materie prime in beni; producendo oggetti che durano di più e sono riparabili; recuperando e riutilizzando i materiali contenuti negli oggetti dismessi; ridimensionando il valore dell’innovazione perché induce ad accelerare i processi di sostituzione degli oggetti anche se svolgono ancora perfettamente la loro funzione; riducendo la mercificazione con lo sviluppo dell’autoproduzione e degli scambi fondati sul dono reciproco del tempo; valorizzando le relazioni umane fondate sulla solidarietà.
Se la specie umana non ricondurrà i suoi consumi e le emissioni di anidride carbonica nei limiti della sostenibilità ambientale, si modificheranno irreversibilmente gli equilibri bio-geo-chimici che le hanno consentito di svilupparsi e correrà il rischio di estinguersi.
Equità
L’equità è un obbiettivo da perseguire nel contesto della sostenibilità. A tutti gli esseri umani, donne e uomini, di qualsiasi classe sociale e di ogni popolo, deve essere garantita non solo la possibilità di procurarsi col proprio lavoro il necessario per vivere, ma devono anche essere fornite le opportunità formative necessarie a sviluppare le proprie capacità conoscitive, creative, inventive. L’obbiettivo a cui tendere è offrire a ogni essere umano uguali opportunità di sviluppare liberamente la propria personalità (art. 3, co. 2, Costituzione), realizzando l’ideale dell’uguaglianza nelle condizioni di partenza.
Un maggiore equità comporta un aumento dei consumi dei popoli poveri e delle classi sociali più povere dei popoli ricchi. Poiché l’umanità già consuma annualmente più risorse di quelle che vengono rigenerate dalla fotosintesi clorofilliana, se contestualmente non diminuissero i consumi dei popoli ricchi aumenterebbe l’insostenibilità ambientale. Se diminuissero nella stessa misura in cui aumentano i consumi dei popoli poveri l’impatto ambientale sulla biosfera non cambierebbe e l’umanità continuerebbe il suo cammino verso l’autodistruzione in condizioni di maggiore equità. Affinché una maggiore equità comporti un miglioramento reale e duraturo delle condizioni di vita della popolazione mondiale, occorre abbandonare la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci e l’identificazione del ben-essere col tanto-avere.
Occorre finalizzare l’economia alla compatibilità con la fotosintesi clorofilliana: accrescere l’efficienza con cui si utilizzano le risorse in modo da consumarne di meno a parità di produzione, ridurre gli sprechi e ridurre l’effetto serra per evitare la desertificazione dei terreni agricoli, ricostituire il contenuto humico dei suoli, ridurre il consumo di proteine animali nell’alimentazione umana, sviluppando la consapevolezza che il rispetto dei viventi non umani, oltre a essere un valore in sé è un fattore indispensabile per realizzare una maggiore equità tra gli esseri umani.
Occorre cambiare gli stili di vita e il sistema dei valori: ridurre il tasso di crescita della popolazione mondiale, ridimensionare l’importanza del denaro da misura della ricchezza a mezzo di scambio delle merci, rivalutare le relazioni umane basate sulla solidarietà e rivalutare la dimensione spirituale, che è stata cancellata nell’immaginario collettivo dalla sopravvalutazione dell’importanza data alla soddisfazione delle esigenze materiali, perché sono funzionali a sostenere la crescita della domanda di merci.
Nelle società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione, le aziende sono costrette a investire in tecnologie che aumentano la produttività e riducono l’incidenza del lavoro umano sul valore aggiunto, per cui fanno crescere l’offerta e diminuire la domanda di merci. Per evitare, o risolvere, le crisi di sovrapproduzione insite in questa dinamica, la domanda viene sostenuta sistematicamente con l’aumento della spesa pubblica in deficit. Questa scelta può essere necessaria per superare le crisi economiche, contrastare la disoccupazione e consentire agli strati sociali ridotti in povertà assoluta di soddisfare i bisogni fondamentali della sopravvivenza. Non bisogna però dimenticare che si traduce in un aumento del consumo di risorse, delle emissioni di gas climalteranti e di sostanze di scarto, quindi nell’aggravamento dell’insostenibilità ambientale, di cui le generazioni future pagheranno le conseguenze.
L’equità nei confronti delle generazioni future richiede che la scelta della spesa pubblica in deficit sia effettuata con parsimonia e solo per i periodi di tempo strettamente necessari, ma soprattutto sia indirizzata a sostenere lo sviluppo delle innovazioni tecnologiche e produttive che attenuano la crisi ecologica. Aumentando la quantità di denaro in circolazione non si risolve la causa del problema, si attenuano soltanto le sue conseguenze. È come limitarsi a prendere un antipiretico per abbassare la febbre causata da un’infezione. Per guarire bisogna abbassare la febbre e curare l’infezione. Non basta accrescere la quantità di denaro in circolazione per sostenere la domanda di non importa cosa, ma occorre utilizzare la spesa pubblica in deficit per creare occupazione nelle attività che riducono il consumo di risorse e le emissioni di sostanze di scarto, perché ciò va a vantaggio delle generazioni presenti, delle generazioni future, delle altre specie viventi e della sostenibilità ambientale.
Il diritto delle specie viventi non umane di vivere secondo la loro natura va tutelato non solo per ragioni etiche, ma anche perché è necessario alla qualità della vita umana. Poiché tutte le specie viventi sono legate da rapporti di interdipendenza reciproca tra loro e con i fattori abiotici dei luoghi in cui vivono – temperatura, umidità, pressione, corsi d’acqua, altezza sul livello del mare -, se la specie umana compie scelte inique nei confronti di altre specie per trarne vantaggi materiali, queste iniquità le si ritorcono contro, provocando peggioramenti alle sue condizioni di vita. Secondo le più accreditate ipotesi scientifiche l’attuale pandemia è stata causata dallo spillover di un coronavirus, ospitato da secoli in un animale selvatico a cui gli esseri umani hanno distrutto l’habitat, costringendolo a emigrare in luoghi antropizzati ed entrato in contatto con loro.
Poiché le generazioni future non possono essere titolari di diritti, la difesa del loro diritto a vivere in condizioni di equità rispetto alle generazioni attuali, è un dovere che le generazioni attuali devono inserire nelle carte costituzionali. Analogamente è un dovere della specie umana la tutela dei diritti delle specie viventi non umane, e più in generale della natura, che già due Stati, l’Ecuador e la Bolivia, hanno inserito nelle loro costituzioni.
Solidarietà
La solidarietà è la caratteristica che distingue una comunità da una società. La società è costituita da un insieme di individui accomunati dall’obbligo di rispettare un sistema di leggi che definiscono i loro diritti e i loro doveri. La comunità è un insieme di persone unite dalla volontà di collaborare tra loro aiutandosi vicendevolmente, con una particolare attenzione nei confronti dei più deboli. La solidarietà implica la conoscenza reciproca e coinvolge la sfera affettiva. Crea legami sociali.
Nelle società moderne i rapporti interpersonali sono quasi esclusivamente mediati dal denaro, per cui contengono il germe della conflittualità e inducono alla competizione, o all’indifferenza, nei confronti degli altri. Nelle comunità i rapporti mercantili sono ridimensionati dalle relazioni fondate sul dono reciproco del tempo, come indica l’etimologia della parola, composta da due parole latine: la preposizione cum, che significa con, e il nome munus, che significa dono, in una delle due accezioni che può assumere: quella del dono che si aspetta una restituzione, sebbene non immediata né strettamente equivalente, per cui si basa sulla fiducia reciproca tra i contraenti. Il munus crea solidarietà. L’altra accezione della parola dono, il dono che non si aspetta restituzioni perché fondato su rapporti d’amore o su condivisioni di scelte esistenziali, viene espressa in latino col nome donum. Il donum è l’espressione più alta della solidarietà. Nelle sue massime espressioni di dedizione disinteressata è la manifestazione di una fede religiosa.
Nei primi decenni dell’industrializzazione la solidarietà si è realizzata nelle società di mutuo soccorso tra gli operai e i contadini sostenute dal movimento socialista, nel movimento cooperativo e nelle casse rurali di orientamento cattolico, nell’impegno di alcuni sacerdoti a fornire i mezzi di sussistenza e una formazione professionale agli emarginati dallo sconvolgimento dei modi di vivere e lavorare in corso. Queste forme di solidarietà non si sono limitate a tutelare gli sfruttati dalle angherie di rapporti sociali che subordinavano senza scrupoli ogni esigenza umana al profitto, ma hanno contribuito a modificarli, sottraendo alla mercificazione e inserendo nella sfera dei diritti garantiti dallo Stato una serie di beni e servizi indispensabili per la vita umana, tra cui il diritto alla casa, alla salute, all’istruzione, affidandone la gestione a enti pubblici e addebitandone in toto, o in parte, i costi alla fiscalità generale, cioè a tutte/i coloro che hanno un reddito. Garantire col gettito fiscale a tutte/i il diritto ad avere i beni indispensabili per la vita è il modo in cui si rafforza la coesione sociale e il senso di appartenenza a una comunità nazionale.
Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale la costituzione di comunità finalizzate a coinvolgere gli abitanti di ambiti territoriali delimitati nella gestione dei problemi economici, sociali e lavorativi emergenti, nella progettazione di ambienti di lavoro salubri e di servizi sociali che migliorano la qualità della vita, nella valorizzazione delle attività culturali, nell’organizzazione delle attività ricreative e sportive, è stato l’impegno su cui si è fondata l’utopia dell’imprenditore Adriano Olivetti. Mentre lo sviluppo industriale del secondo dopoguerra subordinava le esigenze vitali della maggior parte degli esseri umani al profitto di pochi, deturpava i paesaggi, inquinava gli ambienti, incentivava i rapporti basati sulla competizione e favoriva lo sfruttamento dei deboli da parte dei forti, nella visione di Adriano Olivetti erano la solidarietà e la collaborazione a costituire i fondamenti del progresso tecnologico e sociale. L’eccellenza che raggiunse in entrambi i settori è un forte indizio che avesse ragione a crederlo. È un invito, in questa fase della storia in cui l’affermazione di un sistema di valori opposto sta portando l’umanità all’autoannientamento, a capire se la sua esperienza può aiutarci a superare questo tornante.
La solidarietà non è soltanto indispensabile per il ben-essere delle persone, ma libera l’equità dall’ambito delle rivendicazioni e la inserisce nell’ambito dei valori condivisi, per cui rafforza la coesione sociale. Un modello di società equa e solidale, non solo al suo interno, ma anche nei rapporti tra i popoli, con le altre specie viventi e col pianeta, è un fattore essenziale per consentire alla specie umana di superare l’attuale insostenibilità del suo rapporto con la biosfera e aprire una nuova fase della storia.