Posizione di SEquS sull’atto delegato della CE per far rientrare il nucleare nella tassonomia verde europea

Le Strategie francese (pro nucleare) e Italiana (pro gas) sono passate in Europa e il nucleare compare così ora tra le fonti green, nella transizione energetica
L’esecutivo europeo ha adottato il 2 febbraio 2022 il secondo atto delegato che stabilisce quali attività, a certe condizioni, possono essere considerate “ecologiche”, quindi finanziabili nei paesi membri.
Purtroppo l’opposizione di uno zoccolo duro di Paesi “etici” (Austria, Portogallo e Spagna), che ha almeno ottenuto che la proposta si votasse in Commissione Europea, e molti astenuti, non sono serviti a bocciare la legge, che stabilisce a questo punto che gas e nucleare sono inclusi nella Tassonomia Verde Europea.
La Commissione Europea quindi “ritiene che gli investimenti privati nel settore del gas e del nucleare possano svolgere un ruolo nella transizione” energetica.
SequS ritiene che aver incluso gas e nucleare nella tassonomia verde europea sia un errore storico della maggioranza del collegio dei Commissari Europei, che mina alle fondamenta la credibilità del Green Deal.
Il fatto è che questo voto non è stato tanto solo per supportare il nucleare (a parte la Francia e pochi altri paesi) ma, come nel caso del’Italia, per barattarne l’appoggio e ottenere in cambio l’appoggio per proseguire le politiche energetiche nazionali basate sul gas.
Secondo le modifiche introdotte nell’ultima versione dell’atto delegato approvato, sono consentiti gli investimenti per gli impianti che producono meno di 100 grammi di CO2 per kWh, un limite ritenuto da diverse parti molto basso che può essere raggiunto solo dalle installazioni che usino sistemi di sequestro e stoccaggio della CO2. Le modifiche rispetto al testo di fine 2021 riguardano soltanto l’eliminazione delle tappe intermedie sulla percentuale di gas a basse emissioni di carbonio da raggiungere: ovvero il 30% entro il 2026, il 55% entro il primo gennaio 2030 e 100% entro il 31 dicembre 2035. La richiesta era arrivata dalla Germania, che temeva di non avere abbastanza tempo per sviluppare tecnologie alternative come l’idrogeno. L’altra novità è la specificazione di chi deve presentare i piani geologici profondi per le scorie nucleari: la Commissione ha chiarito che saranno gli Stati membri a doverli presentare.
Sul gas – Nel primo atto delegato sulla Tassonomia (approvato a dicembre scorso) si stabiliva, infatti, un limite alle emissioni di CO2 per le attività energetiche di 100 grammi CO2e/kWh (considerando le emissioni dirette e indirette), sospendendo la decisione su gas e nucleare. Nella bozza del 31 dicembre del secondo atto, la Commissione ha messo nero su bianco che i nuovi progetti per impianti a gas dovranno essere approvati entro il 31 dicembre 2030, ma ha anche previsto diverse ‘alternative’ rispetto al limite dei 100 grammi CO2e/kWh. Una soglia difficile da rispettare, senza l’utilizzo delle tecnologie di cattura e stoccaggio di CO2. Così già nella bozza si prevedeva (ed è confermato) che verranno considerate ‘green’ anche le centrali a gas con un limite di emissioni di 270 grammi di CO2 equivalente per kWh, ma calcolando solo quelle dirette ed escludendo, invece, quelle che si producono durante tutto il ciclo di vita e le perdite. ‘Passano’ anche gli impianti che emettono sotto i 550 chilogrammi di CO2 equivalenti per kW di potenza installata, in media, nei prossimi 20 anni. In pratica, anche impianti inquinanti potranno funzionare, a patto che vengano utilizzati meno.
La Commissione, a riguardo, ha respinto la richiesta dell’Italia di portare la soglia di emissione di Co2/kWh a 340 grammi, oppure consentire di mantenere una media annuale di 750 chilogrammi di Co2/kWh calcolata su vent’anni. Un primo cambiamento riguarda la possibilità, già prevista, che un nuovo impianto riceva il ‘bollino verde’ nel caso rimpiazzi uno più inquinante, abbattendo del 55% il tasso emissivo per kWh di output. Nel documento finale si mantiene quel 55%, calcolandolo però sull’intera durata di vita della centrale.
La Commissione potrà comunque rivedere ogni tre anni le categorie transitorie delle attività sostenibili, come ha ribadito in conferenza stampa la commissaria Mairead Mc Guinness, anche rispondendo alle domande sul nucleare.
Il nodo nucleare – L’atto delegato dà il via libera a progetti realizzati entro il 2045 per cui si dimostri di avere un impianto di smaltimento delle scorie operativo entro il 2050 e a condizione che si rispettino i più alti standard di sicurezza, imposti dai trattati internazionali. Rigettata la richiesta di anticipare l’obbligo, fissato al 2025, di utilizzare combustibili resistenti al calore (uranio e plutonio) in caso di incidenti. Sulla questione delle scorie “vogliamo sottolineare – ha spiegato Mairead McGuinness – che vi è una clausola di revisione, perché questo è un documento vivente: ogni tre anni dovremo esaminare i criteri quando parliamo della migliore tecnologia disponibile che è probabile che si evolva nel tempo quando si tratta di rifiuti”.
La posizione di SequS di fronte a questa decisione è certamente di sgomento, perchè vede il prevalere degli interessi industriali e opportunistici di certi Stati, meno etici e sensibili alle tematiche ambientali, sul futuro del clima e del pianeta, e nonostante tutte le raccomandazioni del caso del mondo scientifico, che solo pochi mesi fa si era espresso chiaramente nella gravità della situazione climatica con il sesto report di IPCC e le raccomandazioni di IEA.
SequS auspica che i parlamentare Europei diano battaglia a questa miope e opportunistica scelta, arrivando a sfiduciare la stessa presidente della Commissione europea Ursula Von de Leyen”, poiché fu proprio il Green Deal Europeo presentato nel 2019 a far ottenere la fiducia alla commissione Von der Leyen.
SEquS ritiene che con questa scelta, la stessa credibilità dell’Unione Europea sia messa a rischio, e insieme ad essa i suoi sforzi di spingere per una via verso la sostenibilità ambientale, a questo punto vanificando l’immagine virtuosa che si era costruita sul Green Deal attraverso un’operazione di puro Greenwashing: anche alla luce della recente COP26 non si può adesso tornare a consentire nuovi investimenti in fonti fossili fino al 2030, che metteranno in ulteriore rischio i già flebili obiettivi degli Accordi di Parigi.
SEquS ricorda che la vera transizione ecologica nel settore energetico si ottiene principalmente partendo dal risparmio di energia, poi dall’efficientamento, e solo dopo o contemporaneamente con le sostituzioni delle fonti energetiche per sopperire al bisogno residuo, ma solo utilizzando vere energie rinnovabili (che non significa senza impatti), scegliendo quelle di mi minor impatto possibile.
La strategia della Commissione Europea è invece basata surrettiziamente su un grosso equivoco di fondo, ossia accettando l’assioma secondo cui per forza la domanda di energia debbe restare costante, se non addirittura aumentare (loro dicono del 6% all’anno).
É questo secondo noi il grosso problema di fondo, ossia che il sistema continui a proporre velleitari palliativi in ogni settore, pur di perpetrare lo status quo, senza pensare invece a cambiamenti profondi della società, dell’economia, del sistema produttivo e dei consumi.
Se si mirasse ad eliminare i pesanti sprechi cui assistiamo in ogni settore, al contempo riducendo la domanda energetica (invece che accettare che questa aumenti), solo allora potremmo davvero costruire un cronoprogramma serio e credibile verso la sostenibilità, e potremmo rinunciare alle fonti fossili, alle centrali atomiche e fare affidamento su quelle rinnovabili e sistemi di accumulo (che dovrebbero includere ad esempio anche I pompaggi idroelettrici dei sistemi esistenti).
SEquS fa anche notare che se i finanziamenti europei devono rispettare il principio del “non arrecare danno”, allora non si capisce come certi Stati potranno ottenere risorse per costruire e sostenere settori che i danni invece li fanno dichiaratamente: ci pare una politica vergognosamente ipocrita e contraddittoria.
SEquS auspica anche che la proposta di regolamento delegato presentata e approvata dalla Commissione sia esaminata dall’Europarlamento e dal Consiglio Europeo, che avranno quattro mesi, estendibili su richiesta per altri due, per sollevare eventuali obiezioni o revocare la delega alla Commissione, e che il Consiglio si opponga a maggioranza qualificata rafforzata (almeno 20 Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione Ue), mentre il Parlamento europeo almeno a maggioranza semplice (353 deputati su un totale di 705).
La transizione ecologica per noi è ben altra cosa di una riconversione economica e del settore energetico seguendo le mode e le convenienze del momento.
Autore: ing. Fabrizio Cortesi