QUANDO IL “MARKETING” O GLI “INTERESSI DI POCHI” NON SONO UN PATRIMONIO DELL’UMANITÀ.



L’Unesco è diventato un carrozzone politico-istituzionale. E in questo carrozzone l’Italia viaggia in prima classe: siamo infatti il settimo contributore ordinario, ma il primo finanziatore per contributi volontari extra-bilancio: 28.054.715 di dollari nel 2017 (Dataroom Milena Gabanelli). Sta di fatto che le pressioni della politica per ottenere e poi mantenere la nomina a luoghi Patrimonio dell’Umanità stanno sopraffacendo lo spirito originario con cui è nato l’Unesco. Il risultato è che l’Unesco, oggi, non è più in grado di valutare in modo “incondizionato” le proposte avanzate dagli Stati proponenti di nuovi luoghi da dichiarare Patrimonio dell’Umanità. Secondo lo statuto Unesco sono patrimonio dell’Umanità: “opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomo e della natura come anche le zone di valore universale eccezionale per l’aspetto storico ed estetico, etnologico o antropologico” e “la loro protezione può contribuire alle tecniche moderne di “uso sostenibile” del territorio e al mantenimento della diversità biologica”. Parole vuote, depotenziate, inaridite da una prassi politica di tipo “consociativo” tra governi nazionali, regionali, istituzioni ed Unesco, dove i beni da tutelare si stanno letteralmente sbriciolando e l’ecosistema che li ospita, non solo non risponde più ai requisiti iniziali, scritti sulla carta, ma vive uno stato di ulteriore sofferenza per il carico antropico che massicce campagne di “marketing territoriale” sui social riversano sui territori dichiarati Patrimonio dell’Umanità. Ma, oltre al condizionamento politico iniziale in fase di candidatura e dichiarazione dei siti, il limite ed il difetto principale della prassi “consociativa istituzionale” è la mancanza di “autorevolezza” e di “indipendenza” di giudizio nel “controllo” e nella “verifica” dei requisiti che ne hanno determinato la nomina a “World Heritage Site”.

Due esempi: le Colline del Prosecco e le Dolomiti.

Nella rappresentazione agreste e bucolica della candidatura delle Colline del Prosecco, assunta come reale dall’Unesco e all’interno della quale si sono usate espressioni improprie del tipo “agricoltura eroica”, sono stati omessi (un “equivoco antropologico” enorme) tutti gli aspetti deteriori di una monocoltura “intensiva” ed “industrializzata” che ha comportato:

“disboscamenti” (in quest’area una ricerca dell’Università di Padova rivela come il 74% dell’erosione del suolo e dovuto alla proliferazione dei vigneti)

la perdita della “biodiversità colturale”

la scomparsa di “prati stabili” con il loro “patrimonio mondiale dell’Umanità” di fiori, erbe, humus, insetti, api, biodiversità

il taglio di “alberi” e “siepi” e l’interramento dei “fossi” che possono ridurre la superficie vitata

l’uso abnorme di una notevole varietà e quantità di “pesticidi” con il loro effetto “cocktail” sulla salute delle persone, sulle acque di superficie e sotterranee.

A conferma della mancanza di “autorevolezza” e di “indipendenza” di giudizio nel “controllo” e nella “verifica” dei requisiti di un sito Unesco sono andati in scena in questi giorni nell’area dichiarata Patrimonio dell’Umanità nuovi disboscamenti per nuovi “vigneti industriali”, non del tutto eroici visto che ad operare sono, da un po’ di anni, le ruspe. Dov’è l’Unesco e i suoi inesistenti poteri di “controllo” e “verifica” sulle 15 prescrizioni, compresa quella di “chiarire l’estensione dell’area di impegno (in ettari)”, inserita allo scopo di fermare l’avanzata imperialistica della “glera”?

Per le Dolomiti l’assenza di “verifica” e “controllo” assume i caratteri del clamoroso se pensiamo al “silenzio-assenso” di Unesco sull’ampliamento di piste, nuove strade di collegamento, nuovi impianti a fune, bacini idrici per l’innevamento artificiale che ha trasformato l’anfiteatro dolomitico delle Tofane in un reticolo di corridoi denaturalizzati, atti ad ospitare eventi sportivi olimpici e che ha comportato la scomparsa di 40 ettari fra boschi, prati e pascoli.

Dov’è l’Unesco e i suoi inesistenti poteri di “controllo” e “verifica” sui progetti di nuovi impianti a fune e grandi opere che possono frammentare gli ultimi lembi integri di natura nelle Dolomiti? Non bastano gli effetti dei cambiamenti climatici con decine di frane ad ogni pioggia e lo stacco di guglie di roccia a seguito dei cicli gelo-disgelo negli strati più profondi del “permafrost”?

Dov’è l’Unesco e i suoi inesistenti poteri di “controllo” e “verifica” sul traffico automobilistico privato e sui parcheggi di migliaia di auto ai piedi di un capolavoro mondiale assoluto della natura come le Tre Cime di Lavaredo?

Perché Unesco sta veicolando messaggi stereotipati e incoerenti con il proprio statuto?

Nel caso delle Colline del Prosecco e delle Dolomiti, non chiedo sanzioni, non invoco denunce penali, chiedo semplicemente che, al venire meno dei requisiti nella gestione dei siti previsti dallo Statuto Unesco, vengano meno le condizioni per essere considerati Patrimonio dell’Umanità. Se l’Unesco non riesce a fare questo ne risente la sua credibilità e la stessa dignità politica e culturale di un’istituzione che a quel punto è solo da abolire.

Schiavon Dante, Associato SEquS

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