Se non ora quando?

A proposito dell’ impegno politico
E’ possibile guardare al nostro presente con gli occhi del passato? Per le storie e le esperienze vissute
da gran parte di noi, l’impegno politico nei partiti e nei movimenti, sia con tanti limiti e fragilità, si manifestava con grande passione, vocati al sacrificio, alla generosità per gli ideali condivisi, in una sola parola con la militanza. Termine che da buon obiettore di coscienza, pacifista e antimilitarista convinto, già allora mi risultava antipatico. Sappiamo benissimo, così come nei grandi che nelle piccole formazioni, vi era una avanguardia che, con grande spirito di abnegazione, gratuitamente dedicava gran parte del proprio tempo alle battaglie politiche (e ci risiamo con i termini militaristi), forse non erano più del 10% di coloro che si tesseravano. Cerano i circoli, le assemblee, il volantinaggio, lo sciopero, i comizi, le campagne elettorali e le feste di partito. Oggi gran parte di tutto ciò che si fa avviene in virtuale, sono cambiati la forma e gli strumenti, ma in buona sostanza la visione di ciò che è e di come far politica permane immutata. Immutato rimane quell’indice del 10 % precedentemente citato.
È un bene ancora ragionare nella logica dei leader, delle avanguardie, della militanza-partecipativa
attiva e passiva, cosa significa veramente fare politica oggi?
Rispondere non è facile, certamente il nostro vissuto conta tantissimo, ma è pur vero che avvertiamo tutti l’urgenza di trovare modi e forme diverse non solo nel fare politica ma anche nel vivere veramente e pienamente nella società-comunità.
Certamente sono cambiati gli strumenti di comunicazione con cui si alimenta, si sostiene, si diffonde,
si amplifica il confronto e il dibattito politico, quindi maggiore partecipazione e coinvolgimento ed in parte maggiore democrazia, esempio banale, dal giornale di partito all’informazione attraverso internet. Di contro sono emersi limiti e contraddizioni evidenti tuttora irrisolti: l’overdose di dati e la loro facile manipolazione legata ovviamente al potere dell’informazione, l’illusione che il modello rappresentativo possa essere sostituito totalmente dal modello della consultazione diretta in una osmosi continua e perfetta.
Vale la pena riflettere su quanto scriveva nella sua rubrica settimanale dell’espresso Umberto Eco e per questo ne riporto quasi integralmente il contenuto (L’Espresso, n. 22 – 4 giugno 2015). Così si esprimeva a proposito dell’idea di modernità o società “liquida” dovuta, come è noto, a Zygmunt Bauman.
“La società liquida inizia a delinearsi con quella corrente detta post-moderno… Il postmodernismo segna la crisi delle “grandi narrazioni” che ritenevano di poter sovrapporre al mondo un modello di ordine… ( il postmodernismo) … si è dedicato a una rivisitazione ludica o ironica del passato, e in vari modi si è intersecato con le pulsioni nichilistiche… Per Bauman tra le caratteristiche di questo presente in stato nascente si può annoverare la crisi dello Stato (quale libertà decisionale rimane agli stati nazionali di fronte ai poteri delle forze supernazionali?). Scompare un’entità che garantiva ai singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo, e con la sua crisi ecco che si sono profilate la crisi delle ideologie, e dunque dei partiti, e in generale di ogni appello a una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni. Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo “soggettivismo” ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto…e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono da un lato l’apparire a tutti costi, … e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo …Non solo i singoli, ma la società stessa vive in un continuo processo di precarizzazione… Che cosa si potrà sostituire a questa liquefazione? Non lo sappiamo ancora
e questo interregno durerà abbastanza a lungo… C’è un modo per sopravvivere alla liquidità?
C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno e Bauman rimane una voce che grida nel deserto.”
In questo tempo sospeso, in questa marea insidiosa, diventa ancor più difficile orientarsi e provare a render concreti gli ideali condivisi.
Sappiamo tutti benissimo cosa non vogliamo più che accada, e bene o male abbiamo delineato anche
la visione e l’orizzonte di ciò che attendiamo, desideriamo, a cui aneliamo. Seppur il sentiero e il percorso iniziato possa essere difficile e pieno di ostacoli, tra questi anche, le umane ambizioni, le aspettative che si caricano del valore del tempo, il fiato si fa debole di fronte alle perenni urgenze e contingenze. Tutti avvertiamo il tempo che passa ed è difficile sciogliere il nodo che ci lega umanamente ai bisogni espressi ed inespressi e alla loro reale e concreta realizzazione. Spesso rimaniamo inani di fronte alla nostra impotenza di agire e cambiare veramente le cose e questo ci crea ansia e frustrazione. Compagna del nostro viaggio è bene che siano la visione filosofica naturalista della biofilia e dell’ eco-appartenenza ed il valore del limite unitamente alla saggezza della finitudine.
Non si tratta di una visione velata di pessimismo, ma il meritato ristoro del tempo della riflessione e della meditazione.
La libertà di poter esprimere sempre i propri pensieri, la condivisione delle idee, il continuo confronto,
il dubbio sulle proprie ragioni e la ricerca delle ragioni degli altri, il dissenso e la critica costruttiva, l’approccio gentile, la coerenza senza la paura di ammettere i propri errori e poter cambiare opinioni, il rigore morale, sono il lievito la vera sostanza etica della politica. Consapevoli che come il detto di un saggio popolare siciliano afferma, espresso anche nel Talmud ebraico, “ dunni arrivi mettici na canna… autri dumani la portanu chiù avanti”. Fermati, lascia un buon segno, saranno gli altri domani a proseguire.
Lorenzo Raspanti 10 febbraio 2022