Sostenibilità ambientale e sviluppo sostenibile non sono sinonimi. Le politiche per lo sviluppo sostenibile aumentano l’insostenibilità ambientale.

Di Maurizio Pallante


Il concetto di sostenibilità ambientale si riferisce al rapporto della specie umana con la biosfera. Questo rapporto è sostenibile:
– se la specie umana non consuma annualmente una quantità di risorse rinnovabili superiore a quelle che la biosfera è in grado di rigenerare con la fotosintesi clorofilliana;
– se le sostanze di scarto biodegradabili prodotte dai processi di trasformazione delle risorse in beni e dai consumi non superano la sua capacità di riutilizzarle per generare nuove risorse;
– se non si riducono la fotosintesi clorofilliana (deforestazioni) e la biodiversità;
– se non si impermeabilizzano estensioni sempre più vaste della superficie terrestre;
– se non si producono sostanze di sintesi chimica non biodegradabili.

La gravità raggiunta dalla crisi ecologica dipende dal fatto che la produzione e il consumo di merci:
– hanno superato le capacità della biosfera di rigenerare annualmente con la fotosintesi clorofilliana le quantità crescenti di risorse rinnovabili necessarie a sostenerla (overshoot day il 29 luglio);
– emettono quantità crescenti di scarti biodegradabili che superano la capacità della fotosintesi clorofilliana di metabolizzarli (le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera, che per 8.000 secoli fino alla seconda metà del settecento non hanno superato le 270 ppm, in meno di 3 secoli sono arrivate alle attuali 419,1 ppm, facendo aumentare la temperatura terrestre di 1,1 °C rispetto all’epoca pre-industriale);
– hanno consumato quantità crescenti di risorse non rinnovabili, in particolare le fonti fossili, riducendone gli stock, rendendone l’estrazione sempre più costosa e dannosa per gli ecosistemi, facendo crescere le tensioni internazionali e le guerre per controllarne i giacimenti;
– immettono nella biosfera quantità crescenti di sostanze di scarto di sintesi chimica, gassose, liquide e solide, non metabolizzabili dai cicli biochimici, che si accumulano nell’atmosfera, nel ciclo dell’acqua (tra cui le masse di poltiglie di plastica grandi come gli Stati Uniti che galleggiano negli oceani) e sui suoli (le discariche di rifiuti, urbani, industriali e tossici), provocando forme di inquinamento sempre più gravi, accrescendo la mortalità e riducendo la biodiversità;
– hanno dimezzato il patrimonio forestale (3.000 miliardi di alberi su 6.000 miliardi, secondo i dati forniti da Stefano Mancuso) e le popolazioni ittiche;
– hanno ridotto la fertilità dei suoli;
– hanno ricoperto di materiali inorganici superfici sempre più vaste del pianeta.

Se si continuerà a finalizzare l’economia alla crescita della produzione di merci, tutti i fattori della crisi ecologica si aggraveranno, fino a raggiungere il punto di non ritorno e rendere il pianeta inabitabile per la specie umana. Per attenuare queste dinamiche devastanti, che non si possono più negare, sono state formulate alcune proposte che possono essere sostanzialmente riunite in 3 gruppi:
1. la proposta che riceve i maggiori sostegni politici e mediatici si basa su un imbroglio concettuale: l’identificazione del concetto di sostenibilità ambientale col concetto sviluppo sostenibile;
2. negli ultimi tempi si è fatta strada una proposta sintetizzata dall’affermazione che “in un mondo finito una crescita infinita è impossibile”;
3. la proposta della decrescita.

Nella definizione di sviluppo sostenibile l’obbiettivo che si dichiara di perseguire con le attività produttive non è la sostenibilità ambientale, ma uno sviluppo economico (1) che sia sostenibile dalla biosfera. Lo sviluppo di un sistema economico e produttivo è misurato dalla crescita annuale del prodotto interno lordo pro-capite, ovvero del valore monetario determinato dal rapporto tra il valore monetario complessivo delle merci scambiate con denaro nel corso di un anno e il numero delle persone che hanno effettuato gli scambi: Pil / popolazione. Poiché lo sviluppo economico mondiale ha già superato i limiti della sostenibilità ambientale, per essere sostenibile non può caratterizzarsi se non come un processo di graduale rientro all’interno di quei limiti. Se non si caratterizza in questo modo perde la connotazione della sostenibilità, ma se si caratterizza in questo modo non è uno sviluppo.
Eppure i fautori dello sviluppo sostenibile ritengono, contro ogni evidenza logica, di poter perseguire il loro obbiettivo utilizzando tecnologie in grado di far crescere la produzione di merci e di ridurre al contempo il consumo di risorse e l’impatto ambientale dei processi produttivi. Usare tecnologie che consentono di ridurre il consumo delle risorse e l’inquinamento a parità di produzione è certamente una buona cosa, ma può consentire di rientrare nei limiti della sostenibilità ambientale solo se contestualmente si abbandona l’obbiettivo di far crescere l’economia, almeno fino a quando non si sia rientrati all’interno di quei limiti, perché altrimenti ciò che si guadagna per unità di prodotto, si perde, come in una gigantesca fatica di Sisifo, in conseguenza dell’aumento dei prodotti.
Un’applicazione dello sviluppo sostenibile dovrebbe essere la cosiddetta economia circolare, su cui sono stati organizzati convegni, sono stati scritti articoli e saggi, sono state costruite carriere professionali ben retribuite. Con questa definizione si ripropone in sostanza una gestione degli oggetti dismessi finalizzata a recuperare i materiali che contengono per utilizzarli nella produzione di altri oggetti. Un obbiettivo ecologicamente validissimo. Eppure, anche se si riuscisse a recuperarne il 100% (periodo ipotetico dell’irrealtà), in un sistema economico finalizzato alla crescita della produzione di merci i materiali recuperati ogni anno non sarebbero sufficienti per sostenere la produzione nell’anno successivo, che deve essere maggiore dell’anno precedente. Inoltre il loro riciclaggio richiede un aumento dei consumi di energia. Un’economia circolare perfetta non ridurrebbe l’impatto ambientale della gestione dei rifiuti, ma soltanto il suo incremento annuo. E un incremento ridotto è un aumento, non una diminuzione. Non consente allo sviluppo di essere sostenibile. Si limita a ridurre il suo tasso di insostenibilità. Per di più, se si osservano i dati vergognosamente bassi in Italia della raccolta differenziata e, soprattutto, del riciclaggio, si capisce che le parole non hanno alcuna attinenza con i fatti. (2). La riduzione dell’impatto ambientale dei rifiuti si può ottenere solo se il loro riciclaggio si abbina con una riduzione degli acquisti compulsivi e l’adozione di stili di vita più sobri, con il contrasto legislativo dell’obsolescenza programmata, con una progettazione che consenta di riparare gli oggetti e di suddividere facilmente per tipologie omogenee i materiali di cui sono composti quando vengono portati allo smaltimento, in modo da poterli riutilizzare per produrre nuovi oggetti senza prelevare altre risorse naturali. Queste scelte comportano una riduzione della produzione e dei consumi. Un de-sviluppo, se si può usare questa parola, non uno sviluppo sostenibile. Un de-sviluppo, o se si preferisce, una de-crescita selettiva degli sprechi e delle inefficienze che riduce l’impatto ambientale, richiede un’occupazione qualificata e ne paga i costi con i risparmi di energia e materia che consente di ottenere.
Che lo sviluppo sostenibile non riduca l’insostenibilità ambientale, ma rallenti soltanto il suo aggravamento, lo sanno anche i suoi fautori, che tuttavia cercano di nasconderlo all’opinione pubblica. Nel dicembre del 2015, alla Cop 21 di Parigi, dopo estenuanti discussioni si è raggiunto un compromesso che è stato considerato unanimemente un successo. L’accordo non prevedeva una riduzione delle emissioni, ma della crescita delle emissioni di gas climalteranti, per riuscire a contenere l’aumento della temperatura terrestre tra 1,5 e 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Un aumento non superiore a quei valori si pensava che fosse un giusto compromesso tra l’esigenza d’impedire che la crisi climatica andasse fuori controllo e l’esigenza di non pregiudicare la crescita del Prodotto interno lordo mondiale. Nonostante l’accordo, le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera non sono cresciute meno, ma più che in passato, arrivando in un quinquennio da 400 a 417,9 parti per milione. La temperatura media della terra è cresciuta di 0,2 °C e l’incremento rispetto all’epoca pre-industriale ha raggiunto 1,1 °C. Ci si potrebbe attendere che almeno la produzione nei Paesi industrializzati sia cresciuta. Invece la loro economia è rimasta sostanzialmente piatta e nel 2019 ha cominciato a virare dalla stagnazione alla recessione, prima che nel 2020 arrivasse il Coronavirus a darle la mazzata decisiva.
Agendo nell’ottica dello sviluppo sostenibile non si sono ottenuti né lo sviluppo, né la sostenibilità.

Una proposta alternativa allo sviluppo sostenibile che si sta facendo strada nell’opinione pubblica, ma non incide ancora a livello politico, è sintetizzata da una frase ripetuta come un mantra: in un mondo finito una crescita infinita è impossibile. Questa affermazione si limita a sostenere un’ovvietà ignorata dai sostenitori della crescita economica, ma l’unica deduzione che se ne può trarre è che non è possibile continuare a far crescere l’economia. Tuttavia questo non basta a rientrare nei limiti della sostenibilità ambientale, poiché la produzione e il consumo di merci li hanno già superati abbondantemente e, se ci si limitasse a bloccare la crescita economica allo stato attuale, la crisi ecologica continuerebbe ad aggravarsi. Per superare questa ambiguità è stata formulata la proposta di un’economia della post-crescita, che quanto a indicazioni progettuali lascia un po’ a desiderare.
L’unica possibilità di attenuare progressivamente la crisi ecologica ed evitare che raggiunga il punto di non ritorno è costituita dalla riduzione del consumo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, dei consumi energetici, della produzione di sostanze di scarto biodegradabili e non biodegradabili, del consumo di carne nell’alimentazione, del consumo di suolo, della chimica in agricoltura, della circolazione automobilistica e dei viaggi aerei, dei tassi di natalità, dell’urbanizzazione, della pesca… TINA: there is no alternative. Per rientrare nei limiti della sostenibilità ambientale occorre decrescere. La decrescita non è un’opzione politica da demonizzare, ma una semplice deduzione matematica che non richiede nemmeno la conoscenza delle quattro operazioni. Bastano l’addizione e la sottrazione. Non basta però enunciare questa proposta, occorre definirla con precisione e occorre capire se comporta una riduzione del benessere e dell’occupazione nei Paesi ricchi. E se costituisce un impedimento che non consente ai popoli poveri di migliorare le loro condizioni di vita. Queste sono le critiche formulate alla decrescita dai suoi avversari, per cui saranno l’oggetto della prossima riflessione.

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(1) Truman

(2) Secondo uno studio presentato l’8 novembre 2020 dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in Italia rifiuti di plastica sono il 12,9% dei rifiuti solidi urbani, il 7,8% dei rifiuti differenziati, e appena il 5% dei rifiuti avviati al riciclo.

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