TURISMO EMOZIONALE IN PROVETTA


Sui temi ambientali la “manomissione delle parole”, del loro rapporto tra significante e significato, della loro endemica e intima relazione con la soggettività della realtà, delle cose, degli oggetti, dei fenomeni, sta vandalizzando la “semantica”: la parola più abusata è “sostenibilità”. Una parola che infiocchetta qualsiasi presentazione mediatica di progetti di manomissione dell’ambiente, del suolo, dell’acqua, dell’aria. Quando si parla di infrastrutture e di interventi antropici che alterano la natura e i suoi equilibri la “manomissione” e l’uso fraudolento e improprio del significato etimologico delle parole e della loro intrinseca aderenza alla realtà dell’ambiente si trasformano in notizie false che alimentano un racconto deviato e altrettanto falso.

Gli autori di questo trasformismo semantico, amplificato dalla “servile corresponsabilità mediatica”, sono quei politici che hanno trasformato la politica in propaganda e nel “culto intensivo dell’ignoranza”, consapevoli del fatto che basta dare in pasto ai social titoli rassicuranti, affermando tutto e il contrario di tutto, nella matematica certezza che una moltitudine di cittadini/elettori/consumatori si farà bastare il titolo della notizia, di fatto, falsa.

Sono a migliaia i progetti devastanti per l’ambiente legati al turismo presentati come “eco-sostenibili”, accompagnati dalle servili rappresentazioni mediatiche rassicuranti, quasi a togliere d’ufficio qualsiasi rivendicazione ecologista, per relegare qualsiasi critica nel limbo del disfattismo ideologico, per allontanare e presentare come improprie le critiche o addirittura le manifestazioni di piazza degli ambientalisti.

Anche l’ultima trovata della Regione Veneto disarciona le parole dal loro significato, omettendo dalla narrazione mediatica l’esistenza delle leggi della natura e una visione olistica dell’ambiente naturale. Secondo la Regione Veneto per la “rivitalizzazione turistica” dei luoghi di montagna cosa c’è di meglio che autorizzare, modificando l’art. 27 ter “Strutture ricettive in ambienti naturali” della legge regionale 14 giugno 2013 numero 11, “l’arrivo in quota delle “stanze panoramiche” e la possibilità di realizzare strutture ricettive, alla pari di malghe, rifugi e bivacchi alpini, anche sopra il limite, posto dall’attuale normativa urbanistica regionale, di 1600 metri. La strozzata forzatura semantica ed ecologica tesa ad accalappiare il cittadino/elettore/consumatore distratto si percepisce leggendo il comunicato della regione quando testualmente afferma: “naturalmente tutto ecosostenibile e comunque di basso impatto, così da intercettare la crescente domanda di turismo emozionale e rispondere all’esigenza dei turisti di vivere emozioni intense e durature in un più genuino rapporto con la natura”. Pazzesco! Ma non finisce qui il fluire impetuoso del degrado culturale di questa classe politica. Infatti, sempre il comunicato della Regione: “si prevede l’introduzione di un’ulteriore tipologia di struttura ricettiva in ambienti naturali: le “stanze panoramiche”, che sono stanze di vetro e legno o altro materiale, anche innovativo, ecosostenibile o comunque di basso impatto, collocate stabilmente sul suolo, caratterizzate da un elevato rapporto tra superficie finestrata e quella del pavimento, con particolare attenzione all’ambiente e al paesaggio circostante”. Non ci credo!

Questo filone di affarismo, marketing e sfruttamento della natura nasconde ai più distratti l’insostenibilità di tali opere e il loro impatto sugli ambienti naturali, sia nel momento della loro costruzione (strade, edifici, parcheggi, impianti vari, ecc.), sia successivamente, quando tali piccoli ecomostri si pareranno davanti agli occhi dei tantissimi turisti sensibili che da una vita apprezzano la natura per come si presenta dopo millenni di evoluzione, proprio perché non ancora taroccata dall’uomo e dal suo denaro e desiderano tutto tranne che vedersi replicato “l’happy hour cittadino” in quota.

Si vuol “massificare” un modello di “turismo soft”, come se un “turismo emozionale” non fosse già praticato da milioni di persone che cercano un contatto con la natura e che hanno da sempre evitato la mondanizzazione della montagna e la sovrapposizione urbanistica di strutture edilizie sui luoghi che offrono, così come sono, le emozioni che si vogliono ricreare artificiosamente. È assolutamente da evitare la “massificazione turistica” di un territorio, specie sopra i 1600 metri: un territorio che va protetto, non antropizzato con strutture che deturpano stabilmente il paesaggio e la vita faunistica e vegetale circostante.

Si innesta un “trend ecologicamente delittuoso”, nascosto dal greenwashing e che si nutre dell’indifferenza e dell’ignoranza, basti pensare ad alcune perle di stoltezza amministrativa a scopo turistico già deliberate. Come quella di favorire nelle Colline del Prosecco la trasformazione di vecchi fienili e vecchie casere, disseminate in mezzo ai vigneti, in dipendenze di albergo diffuso, mentre buona parte dei borghi della “core zone” dell’area Unesco, oltre allo spopolamento, presentano almeno il 50% di case abbandonate che andrebbero ristrutturate anche a tale scopo. Oppure, sempre in nome del “turismo emozionale”, una pista ciclabile sul Lago di Garda sospesa sopra l’acqua, i cui sostegni di metallo sono conficcati nella roccia in un contesto geologico enormemente instabile e dai cui versanti continueranno, tra l’altro, a cadere rocce, a scivolare frane, a staccarsi sassi.

Oppure l’idea di costruire un’isola galleggiante per ospitare eventi nel lago di Lago, un minuscolo bacino d’acqua di appena 0,5 km2 già alle prese con il problema di una crescita abnorme di alghe e la conseguente mancanza di ossigeno necessario per la sopravvivenza della fauna ittica e del lago stesso .

Il “comune denominatore” di tale stoltezza plurima e recidiva è il volgare declassamento dei luoghi della natura a sfondo, a contenitori, come una provetta che contenga emozioni prodotte quasi artificialmente, in modo del tutto inconciliabile con le ricadute sull’ambiente della messa in opera tecnocratica, antiecologica e affaristica del business turistico. Al posto della “percezione” e della “contemplazione meditativa” nel cogliere i segni che la natura propone ai nostri sensi subentra l’indotto commerciale eterodiretto, ammaestrato, energivoro, consumistico, fugace che snatura l’essenza di una fruizione naturalistica e turistica libera e pluralista, nei modi e nei tempi, comunque esterna, passiva, spettatrice che non interferisce sulle dinamiche naturali del luogo.

Il prezzo che paga la comunità intera è la perdita di bellezza, una perdita molto spesso irreversibile e la trasformazione, quando tale moda consumistica sarà passata, in non luoghi con ruderi di cemento, metallo, legno che la natura avvolgerà nascondendo ai posteri quei monumenti della stoltezza umana.

Schiavon Dante, Associato a Sequs (Sostenibilità, Equità, Solidarietà)

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