Un possibile decalogo (non esaustivo) per uscire dalla crisi energetica ed ecologica che ci ha travolti

di F. Cortesi

Mentre l’opinione che pare passare sui media riguardo ai rincari energetici è quella che ne attribuisce la colpa alla guerra in Ucraina e al “nemico cattivo” Putin, converrà allora ricordare che le fonti energetiche fossili, in primis il petrolio, erano già state definite da molti anni come “stranded assets” dagli economisti, vale a dire risorse in via di esaurimento e sempre meno convenienti economicamente e più costose da estrarre dal sottosuolo, per non parlare poi del costo e dell’impatto ambientale causato dal loro utilizzo.

Certo, aver profanato dal sottosuolo e dissipato nell’atmosfera in poche decine d’anni di sviluppo industriale miliardi di tonnellate di materiali fossili che la Natura aveva accuratamente e preventivamente sepolto impiegando decine di milioni di anni, quasi fosse consapevole della loro pericolosità nel lasciarli in superficie come rifiuti della decomposizione delle sostanze organiche, è proprio la causa del collasso ambientale e climatico che stiamo vivendo ora.

Sotto questo aspetto viene quasi da sospettare che le continue emergenze cui il mondo è sottoposto ormai ininterrottamente da tre anni siano da una parte conseguenze del nostro modello di sviluppo sbagliato, arrivato al capolinea, ma anche che siano utilizzate dai governi per accelerare processi di transizione economico-sociale ormai inderogabili, il grand reset. Al tempo stesso notiamo che ad un paese come gli USA, grande produttore di gas e petrolio, conviene molto l’attuale rincaro delle fonti fossili sul mercato, in quanto potrebbe rendere di nuovo conveniente la loro estrazione, da “stranded assets” che erano prima, riuscendo addirittura a sostituire le forniture russe verso l’Europa. Guarda caso, a settembre 2022 qualcuno ha fatto esplodere il gasdotto Nord Stream e si è inspiegabilmente danneggiato a ottobre l’oleodotto che trasportava petrolio dalla Russia in Europa passando dalla Polonia: alla Russia sarebbe stato sufficiente chiudere il rubinetto di tali condutture, quindi non ci vuole molta fantasia per immaginare chi altro possa essere il mandante di tali gravissimi attentati, che hanno impatto bellico, energetico, ecologico, geopolitico.

Non potendo avere alcuna certezza di quali siano i disegni dei Governi ad alto livello, ma vedendo anche molta confusione e contraddizioni nelle politiche e nelle dichiarazioni dei blocchi occidentali (e non parliamo solo delle politiche energetiche ma anche delle posizioni geopolitiche e belliche di fronte alle scomposte manovre militari russe), non resta che ribadire i punti critici e un possibile decalogo tattico da intraprendere per una vera conversione ecologica, in ambito energetico, senza la pretesa che sia esaustivo:

  1. Il problema degli stranded assets fossili e dei rincari dell’energia fossile non si risolve trovando altre fonti fossili, altri giacimenti, altri metodi di estrazione (abbiamo visto i disastri dello shale gas e del fracking), altri fornitori e paesi esportatori in sostituzione del “nemico cattivo” russo. Si risolvono innanzitutto riducendo gli enormi sprechi presenti in ogni settore e riducendo quindi la domanda energetica, i consumi. Occorre inoltre pensare alla tassazionei degli extra profitti e alla de-mercificazione del settore fossile, i cui prezzi devono essere scollegati dalle dinamiche speculative e finanziarie (la borsa di Amsterdam), in fornitore di beni attualmente necessari per servizi primari.
  2. Per ridurre gli sprechi non basta “tappare i buchi” ed efficientare i sistemi abitativi, produttivi, distributivi, ma occorre proprio un cambio di passo e di cultura, che tocchi anche l’economia e la gestione aziendale: un’azienda che, contraddicendo l’attuale mantra economico, smettesse di crescere all’infinto di anno in anno, ma che anche rimanesse stabile, soprattutto a livello di utile, sarebbe sostenibile o insostenibile? Anche mantenendo le vendite costanti un’azienda potrebbe addirittura alzare il suo profitto, ad esempio riducendo gli sprechi e puntando alla sostenibilità energetica, occupazionale, ambientale. Addirittura, accade che aziende che diventano più sostenibili acquistino ulteriori quote di mercato. L’operatività in salute di un’azienda può benissimo continuare anche senza che il suo giro d’affari cresca di continuo. Allo stesso tempo, è la popolazione nella sua interezza che può contribuire alla riduzione dei consumi, evitando la miriade di azioni inutili, superflue, dannose che oggi la caratterizzano, senza peraltro abbassare la qualità di vita: è davvero una grande rinuncia pianificare una vacanza che non preveda un volo aereo o una crociera in nave, se sappiamo che queste attività di massa impattano moltissimo? Semplici comportamenti virtuosi porterebbero a riduzioni dei consumi energetici dell’ordine delle decine di percentuale, senza per questo privarci di chissà quali vantaggi. Non chiamiamola decrescita ma stile di vita consapevole e responsabile, che si può ottenere anche solo con la moral suasion, ma va spiegata e diffusa, non ostacolata con la pubblicità consumistica martellante.
  3. Anche la tecnologia deve avere un ruolo nella corsa alla riduzione dei consumi: gli efficientamenti degli edifici evitano le dispersioni e riducono il fabbisogno energetico, quindi i costi di gestione,  purché il bilancio netto tra l’impatto ecologico dell’intervento e dei materiali impiegati e il beneficio energetico sia positivo (una parete verde, isolata tramite ricopertura d’edera ha impatto ambientale e costo nullo, un cappotto di resine o di polistirolo ha ben altro impatto ecologico, da valutare bene nel bilancio finale……), ma ancor più efficaci, soprattutto per garantire a tutti l’accesso alla disponibilità base di energia, dovrebbero essere le comunità energetiche rinnovabili (CER), che dovrebbero essere rese accessibili anche e soprattutto a chi non è nella condizione di produrre energia con fonti rinnovabili, al tempo stesso mettendo così in sicurezza economica soprattutto le categorie meno agiate. Le CER potrebbero essere davvero la chiave di volta per l’indipendenza energetica, una volta che si riesce a diffondere nei territori l’autoproduzione energetica con svariate fonti (eolico, fotovoltaico, geotermico…) con sufficiente penetrazione, con tanti impianti piccoli, diffusi, sulle coperture degli edifici, da mettere tutti in rete locale. Non andrebbe sacrificato terreno naturale per i grandi impianti fotovoltaici ed evitati i grandi parchi eolici, su scala industriale.
  4. Occorre ribadire che l’autoproduzione e il consumo locale, le CER, sono efficaci solo in un’ottica di riduzione dei consumi a monte, di parsimonia delle risorse, di consapevolezza e responsabilità nell’utilizzo energetico, in un contesto dove non è la sorgente ad adattarsi ai consumi dell’utilizzatore, bensì l’utilizzatore a doversi adattare alla disponibilità di energia prodotta e accumulata: sottendono il concetto di sufficienze e autosufficienza, non la continuazione dei modelli precedenti di consumo semplicemente cambiando la fonte energetica.
  5. Risparmiare energia e risorse è un obiettivo fondamentale collegato a tutti i settori: se noi eliminiamo le perdite degli acquedotti, che attualmente disperdono oltre il 40% di risorsa trasportata, non solo non restiamo senz’acqua ma risparmiamo anche grandi quantità di energia elettrica. Se riduciamo i rifiuti prodotti a monte, non solo non generiamo scarti e inquinamento, ma ridurremo di molto gli energivori processi di economia circolare: gli scarti non biodegradabili sarebbe infatti meglio NON produrli proprio, come avveniva in passato, invece che doverli riciclare con grande dispendio energetico e bassa efficienza. L’economia del risparmio potrebbe anche creare posti di lavoro utili.
  6. Invece che complicare le cose e la tecnologia, come la rincorsa velleitaria a cercare di riprodurre la fusione nucleare del sole, dovrebbe essere conveniente semplificare e imitare la natura, usare le sue risorse già presenti: i processi naturali sono enormemente più efficienti di qualunque tecnologia l’uomo possa architettare: la fusione nucleare lasciamola fare al Sole, che ci irraggia di energia solare con la quale le piante sono in grado di realizzare la fotosintesi clorofilliana, una delle reazioni chimiche più efficienti che esistano; utilizziamo per la parte di bisogni energetici residui, il solare termico e fotovoltaico, le cui efficienze sono ormai vicine al 40%, il vento, la geotermia, sapendo però che tutte queste forme artificiali di sfruttamento non sono fonti pulite ma hanno impatti e vanno perciò usate anch’esse con moderazione, dopo aver già ridotto drasticamente a monte i consumi.
  7. La necessità di riduzione dei consumi, degli sprechi e delle produzioni è logica, è una deduzione matematica (proprio anche solo guardando alla definizione dell’Overshoot Day, che attualmente cade su scala globale il 28 luglio, ossia consumiamo 1.75 pianeti); per riequilibrarci con la biosfera occorrerebbe pensare a una riconversione economica basata sulla de-industrializzazione parziale di molti settori e loro riconversione, manodopera inclusa, verso il mondo rurale e le produzioni agricole sostenibili, l’agroecologia; una simile transizione ci sposterebbe davvero a imitare di più la natura, l’uso naturale dell’energia naturale del sole, della fotosintesi clorofilliana, in chiave economica e di sussistenza, eliminando anche la dipendenza mortale del settore agricolo dall’economia fossile, chimico e artificiale che vediamo adesso, cosa che ha desertificato e sterilizzato la maggior parte dei terreni, mirando invece a spostare il settore agricolo verso produzioni diffuse, di piccola scala, con filiere corte, locali, naturali, libere dalla chimica e non biocide: un ritorno all’imitazione dei modelli sostenibili della natura. Riconvertire una parte dell’economia all’agricoltura naturale non è una parola brutta, un ritorno al passato, semmai il passo necessario verso una maggiore qualità di vita, di sostenibilità, che già oggi parte della società e dei giovani sta intraprendendo autonomamente, per scelta consapevole e responsabile, che ripaga anche economicamente, data la sempre maggiore richiesta sul mercato di prodotti di qualità, genuini, non contaminati.
  8. Dovremmo uscire dai modelli e dalle filiere di produzione industriali che ci riforniscono di prodotti usa e getta, che lasciano tracce e prodotti di sintesi biochimica non riassorbibili dalla biosfera. Fino a un secolo fa non producevamo nessun materiale di questo tipo, non esisteva la plastica, eppure la società andava avanti benissimo lo stesso, il grado di felicità non era inferiore a quello di oggi. Dobbiamo recuperare cioè il rapporto di equilibrio con la natura, la sua imitazione, tornando ad attività, pur tecnologiche, che però non rilascino tracce nella biosfera, se non residui biodegradabili e riassorbibili proprio dai sistemi naturali. L’uso attuale della plastica e dei modelli usa e getta non è compatibile con la prosecuzione della vita sul nostro pianeta e va sorpassato quanto prima. La disponibilità di tecnologia (la plastica, i voli aerei) per le masse finalizzate al mercato si è rivelata ingestibile, un boomerang mortale.
  9. L’economia circolare è anche quella della natura che ricicla tutto in un ciclo perfetto e infinito. Ma questa non è la nostra economia circolare artificiale, un pretesto per continuare a produrre merci inutili e dannosi, che pretende senza riuscirci di riciclare una piccola parte dei nostri scarti non biodegradabili. Ecco perché si deve puntare sulla riduzione e non-produzione di tali prodotti a monte, piuttosto che al loro velleitario riciclo: in un mondo di produzione vocato alla crescita, anche se paradossalmente riciclassimo ogni scarto, si dovrebbe comunque estrarre nuove risorse per alimentare l’aumento di produzione e il sistema prima o poi comunque collasserebbe.
  10. Per finire: va bene il progresso basato sull’innovazione tecnologica, ma siamo arrivati ad un punto dove è proprio la tecnologia massificata sfuggitaci di mano e finalizzata alla crescita, ai mercati, al profitto, che ci ha portati nel baratro. Occorre quindi finalizzare la ricerca e la tecnologia, guidate da visione ed etica, soltanto verso il riequilibrio della nostra ormai ingombrantissima specie con la biosfera che ci ospita e con tutti gli altri abitanti del pianeta, con i processi naturali: tutti gli esseri viventi hanno lo stesso nostro diritto di non essere impattati dalle nostre attività, in ottica davvero biocentrica. Ma soprattutto occorre semplificazione più che continuo velleitario progresso e complicazione tecnologica: Noi pensiamo di salvarci con l’illusione della Tecnologia (ben diversa dalla Scienza), ma la tecnologia “come risolve un problema ne apre dieci altri ancora più complessi”.

Insomma: la trasformazione economico-culturale-sociale che oggi sarebbe prioritaria è quella guidata innanzitutto dal cambio di paradigma economico sociale vocato alla crescita verso la riduzione degli sprechi, dei consumi, della produzione di merci, per rientrare nei limiti di sostenibilità e di capacità di rigenerazione degli scarti biochimici, dove la tecnologia può solo aiutare, se la semplifichiamo e se riesce ad imitare/sfruttare i processi naturali già in essere; La finalizzazione di questo percorso dovrebbe essere la semplificazione, non l’ulteriore complicazione tecnologica, le soluzioni che ci possono accompagnare in questo percorso dovrebbero essere semplificate, prendendo ispirazione e imitando i processi naturali, già perfetti, per consentire a tutti, in modo equo e democratico, di vivere una vita dignitosa, senza lasciare tracce materiali nocive persistenti e senza impattare sull’ecosistema e sulle generazioni future: siamo purtroppo ancora molto lontani da questo traguardo, proprio come visione e come cultura e la cosa mi preoccupa moltissimo.

Fabrizio Cortesi, associato SEquS e membro del Direttivo Nazionale.

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