Non è troppo tardi
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di Gaetano Pascale
Il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, all’apertura della 25esima conferenza sul clima, aveva affermato a chiare lettere la necessità di una “scelta fra speranza e resa”, ma l’esito della Cop25 più che la speranza ha alimentato lo sconforto e la delusione.
Il nodo più grande, che questa conferenza era chiamata a sciogliere, riguardava l’articolo 6 degli accordi di Parigi (Cop 21 del 2015) contenente le norme che disciplinano il mercato delle riduzioni delle emissioni di carbonio. L’articolo 6 era stato individuato come lo strumento fondamentale per raggiungere l’obiettivo dichiarato nella Cop di Parigi, di contenere l’innalzamento delle temperature medie globali entro 1,5 °C rispetto all’era preindustriale. La Conferenza di Madrid ha posticipato ogni decisione relativa a questo articolo, alla prossima conferenza che si terrà a dicembre 2020. Se pensiamo alla drammaticità degli allarmi lanciati dall’IPCC e, soprattutto, dei catastrofici eventi climatici che si stanno susseguendo con frequenza sempre maggiore in tutto il mondo, questa (non) decisione risulta inevitabilmente deludente. Ma se riflettiamo bene, valutando alcuni accadimenti degli ultimi anni, non era lecito aspettarsi qualcosa di molto diverso da un ennesimo rinvio sulle questioni più spinose che impediscono di affrontare come si deve l’emergenza ambientale.
Intanto va detto che in precedenza le ultime due conferenze sul clima (Cop23 di Bonn nel 2017 e Cop24 di Katowice nel 2018) si erano concluse analogamente. Certo, ogni anno che passa, il tempo a disposizione per arginare la deriva climatica è sempre più ridotto e per questo ogni mancata decisione da qui in avanti assume un peso sempre maggiore. Ma come affermato in precedenza i segnali che erano arrivati da più parti nel mondo erano tutt’altro che incoraggianti. In particolare il rinnovo dei leader in alcuni paesi chiave nello scacchiere internazionale è andato nella direzione diametralmente opposta a quella di un rigoroso impegno verso la riduzione delle emissioni dei gas serra.
A novembre del 2016 viene eletto alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump che ha sempre negato l’esistenza dei cambiamenti climatici (solo recentemente ne ha ammesso l’esistenza, scaricando però sui paesi commercialmente concorrenti le responsabilità) e infatti a pochi mesi dalla sua elezione annuncia che Stati Uniti si sfileranno dagli accordi di Parigi e di recente ha avviato la procedura per uscire formalmente dall’accordo. Nel 2018 in Australia il partito di governo (Partito Liberale d’Australia) sfiducia il primo ministro Turnbull, a favore dell’ultraconservatore Scott Morrison che diventa così leader del partito e primo ministro. Sempre nel 2018 viene eletto alla presidenza del Brasile Jair Bolsonaro, altro nemico dichiarato degli accordi di Parigi e che, in aggiunta, rivendica di poter agire sulla foresta amazzonica senza dar conto alla comunità internazionale. Non è un caso che a pesare sul mancato accordo di Madrid sono state proprio le posizioni di paesi come Australia, Brasile e Stati Uniti (anche Arabia Saudita) sul mercato delle emissioni di carbonio.
Ora però bisogna frenare il pessimismo che si è diffuso e fare in modo che questa scellerata ignavia non determini di fatto una resa di fronte all’emergenza più grande che il genere umano sia mai stato chiamato ad affrontare. Altrimenti si corre seriamente il rischio di passare dall’epoca de “il riscaldamento globale non esiste” a quella del “è troppo tardi per intervenire”. E’ un rischio decisamente concreto, in quanto tutti i soggetti che fino a oggi hanno negato i cambiamenti climatici (o l’origine antropica degli stessi) saranno i primi ad accodarsi a una qualsiasi tesi di rassegnazione che porti a ritenere inutili gli sforzi volti a contenere il riscaldamento globale. Non è più accettabile che i destini dell’umanità siano lasciati a un manipolo di politici ipocriti o telecomandati da multinazionali spregiudicate che hanno a cuore solo le sorti dei propri profitti.
Ecco perché ora più che mai è necessario incoraggiare le tantissime persone, consapevoli dell’enorme rischio che sta correndo il genere umano, che già fanno tanto attraverso i comportamenti individuali – , di fare un passo ulteriore, per non vanificare gli sforzi compiuti fin qui. La richiesta di passare all’azione da parte dei movimenti ambientalisti e giovani di tutto il mondo non basta più. C’è bisogno che questa richiesta diventi proposta politica (e di governo) globale, che il diritto al futuro dei nostri giovani possa essere determinato innanzitutto dai giovani e non venga definitivamente compromesso da un’avidità senza più senso.
Photo by Kelly Sikkema on Unsplash
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